Don Santoro: “Non parliamo di guerra ma di follia, perché questo è” - di Frida Nacinovich

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Don Alessandro Santoro è un parroco di strada, ancora oggi che ha 58 primavere sulle spalle. Ne aveva meno di trenta quando arrivò nel quartiere fiorentino delle Piagge, giovane prete alle prese con una realtà difficile fatta di abbandono e trascuratezza, in una periferia dove l’edilizia popolare aveva dato casa a tante famiglie meno abbienti ma senza alcun servizio. Rimboccandosi le maniche don Santoro si è messo all’opera, traducendo in pratica le lezioni di don Milani studiate in gioventù. È nata così la Comunità di base delle Piagge, prima tappa di un cammino che ha visto fiorire lassociazione Il Muretto, le cooperative il Pozzo, il Cerro ed EquAzione, nate per creare opportunità di crescita sociale, culturale ed economica nel quartiere. Ancora, il periodico lAltracittà giornale di periferia, e il Fondo etico e sociale delle Piagge, che oggi è un quartiere ben più vivibile di quello degli anni ‘80-‘90 del secolo scorso.

 

Don Santoro, abbiamo una guerra nel cuore dellEuropa che sta scivolando verso scenari apocalittici, visto che sia da una parte che dall’altra si promette di andare avanti “fino alla vittoria finale”. Come si può fermare questa follia?

Beh, mi verrebbe da dire che prima di tutto bisognerebbe chiamarla con il suo vero nome, follia. Quello che sta accadendo, ad un anno dallinizio di questa fase della guerra, è soprattutto una follia. Come si può andare avanti in questo modo? C’è unassuefazione incredibile alla guerra. Si giustifica la consegna delle armi, motivandola come un aiuto a Kiev per vincere la guerra. Addirittura. Un passo allindietro enorme, un salto nel vuoto, come se avessimo dimenticato quello che è successo nella seconda guerra mondiale, ai tempi della guerra fredda, oppure della minaccia nucleare che abbiamo sul collo. Penso che per fermare questo conflitto dobbiamo insegnare nuovamente alle persone, a loro ma anche alla politica, soprattutto alla politica, a chiamare questa guerra con la parola che più la rappresenta: follia. E quindi cambiare registro rispetto alla pantomima dellinevitabilità di quanto sta accadendo. Perché in guerra non vince nessuno, proprio questa è la follia del ricorso alle armi. Nessuno può vincere, ci sono soltanto morte e distruzione. Con effetti collaterali’ che durano nel tempo. E oggi c’è anche il rischio di arrivare alla distruzione finale, perché la minaccia nucleare che abbiamo sulle spalle è davvero molto gravosa. Pesantissima.

 

La rete Europe for peace è tornata a chiedere limmediato cessate il fuoco, rivolgendo un appello allOnu per una conferenza internazionale di pace. Le realtà che vi aderiscono, da Emergency alla Comunità di Sant’Egidio, dall’Anpi a Sbilanciamoci!, e ancora la Tavola della Pace, Stop the war now, le Acli, l’Arci e la Cgil, nell’anniversario dello scoppio della guerra hanno promosso manifestazioni in oltre 50 città italiane ed estere, compresa una Marcia straordinaria della pace da Perugia ad Assisi. Perché i potenti del pianeta non ascoltano le voci della pace?

Dobbiamo inondare le piazze di gente stufa di questa retorica di guerra che avvolge tutto e tutti. Non possiamo mollare la presa, credo sia molto importante mettere insieme tantissime persone, anche molto diverse tra loro, in maniera trasversale. Fare in modo che nessuno possa mettere il cappello sulle nostre manifestazioni perché la pace è di tutti, riguarda tutti, non importa da che parte stai. È fondamentale. Se i potenti del pianeta non sentono le voci della pace è perché ascoltano unicamente i propri interessi di potere, è questa lunica logica allinterno della quale si muovono. Potere, predominio, ricchezza. E allora la guerra in Ucraina è stata consegnata su un piatto dargento, costruita ad arte. Lo so, si rischia di essere etichettati come putiniani, fuori dal mondo, folli. Ma bisogna denunciare che questa è, nei fatti, una guerra per procura. Non riesco a cancellare dalla mia testa questa idea. LEuropa, compresa lItalia, non è in grado di smarcarsi dalla logica guerrafondaia, costringendosi a una sottomissione acritica al predominio statunitense e della Nato.

 

Il capo di stato maggiore statunitense, Mark Milley, ha detto a più riprese che non ci sarà una vittoria militare, nel senso stretto del termine, né da parte dellUcraina né da parte della Russia, quindi è necessario pensare ad altre opzioni, evidentemente diplomatiche. Invece nelle sedi della cosiddetta politica istituzionale si continua a parlare di guerra e di armi come si parla di calcio al bar. Come si esce da questo incubo?

L’Europa avrebbe dovuto costruire fin da subito un percorso diplomatico, per impedire che questa guerra arrivasse, per fare in modo che non si allargasse e aumentasse di intensità fino al livello che abbiamo raggiunto. La gestione della sua partecipazione al conflitto è inaccettabile e dannosa per noi tutti. Lo ripeto: si chiede continuamente di mandare armi allUcraina per far vincere Zelensky. Ma ci rendiamo conto di quel che diciamo? Dopo gli accordi di Minsk del 2014 non siamo stati capaci di lavorare per costruire unintesa che era necessaria, e poi di mantenere questa intesa, salvaguardarla, cercando di fare in modo che i russofoni in Ucraina e la Russia stessa potessero recuperare quella che io definirei ‘armonia’, che può essere trovata solo con un lavoro, fondamentale, di diplomazia. Ma fino a quando gli interessi che predominano su tutto il resto sono quelli della guerra e del militarismo, purtroppo la diplomazia sarà sempre dimenticata o messa da parte. ‘Restiamo umani’, come diceva Vittorio Arrigoni a Gaza.

 

Sempre la rete Europe for peace denuncia che in questi anni abbiamo avuto un aumento della spesa militare sia in Italia che nel resto del mondo. C’è stato un aumento di più di 2mila miliardi di dollari spesi ogni anno per le armi. Se solo una piccolissima parte, il 5%, di queste spese militari fossero usate per combattere le pandemie, lemergenza climatica, lemergenza alimentare, risolveremmo tanti problemi ai quattro angoli del pianeta. Ma di fronte alla richiesta di disarmare per investire sulla pace, si va avanti nella corsa al riarmo. Impareranno mai gli uomini dalle terrificanti lezioni del passato?

Ci fanno pensare che siamo impotenti, che non possiamo fare niente di fronte a questa guerra. Bisognerebbe recuperare la capacità di lottare, opporsi totalmente a una deriva del genere. Già prima dellUcraina era stato denunciato come la Nato abbaiasse ai confini dellEuropa. Siamo completamente succubi di unalleanza che avrebbe dovuto essere difensiva, ma che invece è diventata il sistema di controllo statunitense sul mondo. Per me sarebbe da ridurre ai minimi termini. Invece viene chiesto a tutte le nazioni europee di spendere di più in armamenti. Una corsa a cui non riusciamo ad opporci adeguatamente. Dovremmo gridare forte non solo la nostra indignazione, ma la nostra indisponibilità ad accettare questa logica. La politica della guerra è una politica di morte. La politica del riarmo è una politica di morte, distruttiva. Globalmente distruttiva. Di fronte alle emergenze climatiche ambientali, alle migrazioni, dovremmo riuscire a chiedere il disarmo. Perché quello che risparmiamo disarmando potrebbe essere spostato su uneconomia di pace, costruita dal basso. Ci considerano degli utopisti quando diciamo queste cose, allora dovremmo recuperare linsegnamento di padre Balducci, perché se ci mettessimo a tavolino capiremmo che questa utopia è di un realismo estremo. Basterebbe poco, la riduzione delle spese militari per aiutare listruzione, la sanità. Invece non muoviamo foglia. Addirittura un ministro di questo governo lavorava privatamente per arricchire chi costruisce armi. Un ministro dello Stato italiano. Ma larticolo 11 della Costituzione non dice forse che lItalia ripudia la guerra? Su tutto questo pesa poi lassenza dellOnu, che è terribile. Una debolezza che porta a un silenzio inaccettabile. E’ importantissimo andare in piazza, ma deve nascere anche una forma di disobbedienza alla guerra, disobbedienza vera, anche fiscale, una diserzione in risposta alla logica delle armi. Il rifiuto della guerra, la nostra ferma opposizione alle armi deve essere concreta. Bisogna essere operatori ‘facitori’ di pace, e decostruire la logica della guerra.

 

Papa Francesco non perde occasione per denunciare la follia di un conflitto che, come accade in ogni guerra, provoca migliaia di vittime, sofferenze insopportabili nelle popolazioni civili, e immani devastazioni. Ma la sua parola, e quella del popolo della pace, continua a non essere presa in alcuna considerazione. Che fare?

Da anni questo Papa denuncia la follia della guerra. Una guerra mondiale a pezzetti, ed ecco a cosa hanno portato questi pezzetti. Abbiamo sempre considerato le parole del Papa profetiche, ma abbiamo anche visto che i potenti della terra hanno bypassato il messaggio. Così purtroppo continuano ad essere inascoltate. Eppure sono parole che si ritrovano nella Pacem interris’ di Giovanni XXIII: nessuna guerra è giusta, non può esistere una guerra giusta. Come diceva Lorenzo Milani, come ripetiamo noi, e come è stato detto tante, tante volte dal Papa. Non esiste una diplomazia delle armi, qui si continua a predicare bene ma ad essere succubi di interessi che non tengono conto della profezia di pace che il Papa porta avanti, una profezia evangelica. Allora mi rivolgo a tutti i credenti: non vi fa specie che le parole di Papa Francesco, così importanti, che riecheggiano nel mondo, nelle nostre parrocchie e nelle nostre chiese, siano spesso dimenticate o poco considerate? A me questo fa male, tanto. Se ci fosse una cultura di pace che parta anche da quegli ambienti che dovrebbero avere un respiro evangelico, forse qualcosa potrebbe cambiare. Perché sufficienza e inerzia di fronte a questo scempio che sta accadendo non sono accettabili.

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