Ha suscitato molto clamore la proposta avanzata dal ministro dell’Istruzione (e del merito) Valditara di differenziare lo stipendio dei lavoratori della scuola in base al costo della vita che si registra nelle diverse aree del Paese. Ciò comporterebbe non solo la rottura del contratto nazionale di lavoro (e il ritorno alle famigerate gabbie salariali) ma anche l’apertura alle differenziazioni dei diritti su base regionale, che rappresenta un obiettivo perseguito con forza dalla Lega e non solo, con il progetto sull’autonomia differenziata. Alla diversità di trattamento economico (e poi giuridico) del personale scolastico, conseguirebbe la differenziazione del servizio d’istruzione offerto sul territorio, con l’effetto di accentuare le diseguaglianze già fortemente presenti tra regioni del nord e del sud.
Al fine di rilanciare lo sviluppo del Paese occorrerebbe proprio il contrario, ovvero colmare gli squilibri territoriali per innalzare i livelli complessivi di benessere sociale ed economico di tutti i cittadini, a prescindere dal luogo residenza. Per fare questo occorrerebbero significativi investimenti pubblici a partire dal sistema scolastico, e dagli stipendi di tutti i docenti che ne sono il motore trainante.
Senonché attualmente i docenti italiani sono tra i meno pagati a livello europeo, come certificano i dati Ocse (pubblicati nel rapporto “Education at the glance” 2022), da cui emerge che la differenza retributiva tra i docenti italiani e quella dei colleghi europei è mediamente del 15% (circa 6mila euro annui). Un altro dato molto negativo si rileva dall’andamento delle retribuzioni negli ultimi anni, per cui nel periodo che va dal 2010 al 2021 in Italia gli stipendi dei docenti di scuola media sono diminuiti di circa 6 punti, a fronte di un incremento di quasi 2 punti delle retribuzioni medie europee dei docenti dello stesso livello di scuola.
Queste differenze rappresentano la diversa importanza che i paesi europei attribuiscono all’istruzione, non a caso in Italia la percentuale della spesa pubblica complessiva destinata al sistema scolastico (dall’infanzia alla scuola secondaria) è solo del 5,8% a fronte di una media europea del 7,0%, una differenza che in termini assoluti pesa per circa 10 miliardi di euro.
Occorre aggiungere che il personale scolastico in Italia non gode di particolare considerazione neanche all’interno del sistema della Pubblica amministrazione. Secondo i dati ufficiali del Conto Annuale (Ragioneria generale dello Stato), il 43% dei lavoratori della Pa (1.381.000) ha un titolo di studio terziario (diploma universitario, dottorato, ecc.). Di questi circa la metà (ovvero il 48% pari a 656 mila lavoratori) appartiene al comparto Istruzione e Ricerca, e consiste in gran parte nei docenti delle scuole statali dalla primaria alla scuola secondaria. Nonostante questa prevalente presenza di personale laureato, i lavoratori della scuola hanno gli stipendi più bassi di tutta la Pa. Infatti, a fronte di una media retributiva dei lavoratori della Pa pari a 37.073 euro, la retribuzione media del personale della scuola è di 30.313 euro, con una differenza di oltre il 22%.
Vorremmo pertanto evidenziare al ministro Valditara che l’esigenza primaria dei docenti non è quella di differenziare gli stipendi in base al territorio o ad altri parametri, ma è quella di riconoscere e valorizzare il lavoro di tutto il personale, le cui retribuzioni non solo non reggono il confronto a livello europeo, ma sono penalizzate perfino nel confronto con gli altri settori pubblici.
La soluzione a questi problemi passa innanzitutto nello stanziare per tempo le risorse necessarie a rinnovare i contratti nazionali di lavoro, e non in ritardo di quattro anni come accaduto per il triennio 2019-21. Inoltre occorre che gli stanziamenti non siano una tantum (come sta avvenendo per il nuovo triennio contrattuale 2022-24), ma siano strutturali per tutelare efficacemente il potere d’acquisto degli stipendi rispetto all’inflazione. Inoltre, che siano in misura adeguata a ridurre il divario stipendiale dei lavoratori della scuola rispetto a quelli degli altri settori pubblici, oltre che nei confronti dei colleghi europei.