Una brutta copia dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio di due anni fa. Quello che è successo domenica a Brasilia, quando migliaia di seguaci dell’ex presidente Jair Bolsonaro hanno assaltato gli edifici del Congresso, della Presidenza e della Corte suprema, è stato molto simile a quanto avvenuto a Washington, ma l’evento carioca si è espresso con modalità più allarmanti rispetto a quanto avvenuto negli Stati uniti. Se in entrambi i casi i manifestanti non hanno accettato il risultato delle urne, che ha visto sconfitto in Brasile Jair Bolsonaro dall’ex capo dello Stato Luiz Inácio Lula da Silva, nel Paese più grande dell’America Latina la democrazia è molto fragile. E lo hanno dimostrato plasticamente le immagini dei militari che si facevano dei selfie con i facinorosi che stavano distruggendo gli edifici nella Piazza dei Tre Poteri. Contando appunto sul bolsonarismo di pezzi importanti delle forze armate.
È servita la ferma reazione del presidente Lula per indirizzare la risposta dello Stato nella direzione giusta. L’ex sindacalista, che in quei concitati momenti si trovava ad Araraquara, un comune nello Stato di San Paolo, non ha esitato a puntare l’indice contro il governatore del Distretto Federale Ibaneis Rocha, alleato di Bolsonaro, il quale l’8 gennaio scorso è stato sospeso per 90 giorni dal giudice della Corte suprema del Brasile Alexandre de Moraes per la sua inazione di fronte agli attacchi di questa orda barbarica.
Alla fine, di fronte al palazzo progettato dall’architetto brasiliano Oscar Niemeyer - noto per aver realizzato numerosi edifici anche in Europa tra i quali la sede del Partito comunista francese a Parigi - è tornata la normalità. L’esercito non ha così accolto le aspettative dei bolsonaristi, e nella giornata di martedì 10 gennaio decine di migliaia di persone hanno riempito tutte le piazze del Brasile per difendere senza esitazione la giovane democrazia carioca, nata nel 1984 dopo decenni di dittatura militare, e chiedere che i 1.500 arrestati non vengano amnistiati.
Il tentato golpe è stato condannato con forza da tutti i Paesi occidentali e latinoamericani, compresi gli Stati uniti che non sono proprio amici della sinistra continentale. Questa volta Joe Biden non ha lasciato adito a dubbi, e ha invitato Lula alla Casa Bianca. Il governo Meloni, i cui partiti non hanno mai nascosto le forti simpatie nei confronti di Bolsonaro, è riuscito a condannare l’assalto senza mai esprimere solidarietà a Lula, e senza stigmatizzare l’operato “trumpiano” di Bolsonaro citandolo per nome e cognome.
Non appena insediato, Lula non ha esitato a prendere misure importanti. Nel tentativo di mettere un freno al proliferare delle armi nel Paese, aumentato durante l’era Bolsonaro, ha fermato la concessione di permessi per l’acquisto di armi e la creazione di club di tiro. Altra misura tempestiva è stata la riattivazione del Fondo Amazzonia che può contare in particolare sugli aiuti di Germania e Norvegia, e che l’ex presidente aveva congelato. Infine c'è stato lo stop del processo di privatizzazione delle aziende statali Petrobras, Correos, Empresa Brasil de Comunicación.
Ma la sfida del cambiamento sarà durissima. Al momento della sua elezione Lula ha vinto con un margine ridottissimo, solo il 50,9% dei consensi contro il 49,1 di Bolsonaro. Un Paese spaccato in due. Inoltre la coalizione che lo ha sostenuto è più moderata dei precedenti esecutivi di sinistra – per esempio il vicepresidente è Geraldo Alckmin, politico di centro-destra sconfitto dallo stesso Lula alle presidenziali del 2006 – il Parlamento è più spostato a destra, e quattordici Stati sono governati dalla destra contro i tredici della sinistra. Aggiungiamo che la coalizione che lo sostiene va da una destra moderata all’estrema sinistra e che dunque il presidente si è dovuto fare in quattro per accontentare tutti. Se consideriamo appunto che metà dei brasiliani e delle brasiliane non gli ha dato fiducia, la sfida è da far tremare i polsi.
I primi provvedimenti presi all’indomani della rivolta dimostrano che il presidente ha comunque il controllo della situazione. Il giudice della Corte Suprema del Brasile, Alexandre de Moraes, ha ordinato l’arresto dell’ex comandante della polizia militare del Distretto Federale di Brasilia, Fabio Augusto Vieira, che aveva il comando del corpo quando i bolsonaristi hanno attaccato gli edifici istituzionali. Arrestato l’ex ministro della Giustizia Anderson Torres, che aveva assunto il comando del ministero della Pubblica sicurezza del Distretto Federale di Brasilia il 2 gennaio. Bloccati i conti bancari intestati a Bolosonaro, mentre sono stati esonerati i vertici delle forze di sicurezza di Brasilia, e vietate nuove manifestazioni che i bolsonaristi hanno minacciato di organizzare.
La tensione dunque resta ancora molto alta in Brasile. Ma possiamo affermare che Lula ha vinto il primo round di questa pericolosa partita.