Il Rapporto sulla Filiera delle Telecomunicazioni in Italia, presentato al recente Forum Tlc, ha confermato la sempre più grave situazione in cui versa il settore. I dati, estremamente negativi, sono il risultato dell’assenza, da troppi anni, di politiche industriali degne di questo nome nelle Tlc da parte dei governi che si sono succeduti.
Il segno più evidente di questa mancanza d’indirizzo si manifesta nel paradosso che, a fronte di un costante aumento della domanda, corrisponde, da anni, un calo continuo dei ricavi. Trend che non si riscontra nel resto d’Europa, Usa e Asia. I ricavi del settore delle telecomunicazioni in Italia hanno registrato una riduzione pari a un terzo del loro valore, passando da 41,9 mld di euro del 2010 a 27,9 mld di euro del 2021. L’entità di tale contrazione mette ormai a rischio la stessa tenuta del settore dal punto di vista dell’occupazione, della qualità del lavoro, dei salari.
Gli investimenti necessari per tenere il passo dell’innovazione vengono messi in discussione. A tutto ciò si aggiungono le difficoltà legate agli attuali fattori macroeconomici (inflazione, crisi energetica) e l’utilizzo “parassitario” delle reti Tlc da parte dei giganti Ott (Over-The-Top) come Google, Facebook, Twitter, Amazon, etc., che forniscono, attraverso la rete, servizi, contenuti e applicazioni senza pagare alcun “pedaggio”, senza contribuire a quella infrastruttura tecnologica in assenza della quale, semplicemente, non esisterebbero.
Le richieste al nuovo governo da parte datoriale, per far fronte a questa crisi, si concentrano su capitoli che ricadrebbero sulla fiscalità generale e quindi sulle casse dello Stato (agevolazioni sui costi energetici, riduzione Iva) oltre che a interventi di tipo regolatorio come l’innalzamento dei limiti elettromagnetici per l’implementazione della rete 5G. Si tratta di palliativi non in grado d’invertire il trend, in assenza di scelte industriali non più rinviabili: in primis le sorti della più grande azienda del settore - Tim - che rimangono incerte. Sorti che impatteranno sugli assetti di tutto il comparto.
Il nuovo governo dichiara di voler intervenire per una rete di telecomunicazioni “che sia anche a controllo pubblico”. I fatti diranno se si tratta di mere dichiarazioni in salsa sovranista o se le scelte saranno coerenti; se quindi le Tlc, motore della transizione digitale dell’intero Paese, verranno lasciate o sottratte all’arbitrio di finanza e mercati.
Qualche dubbio sorge subito proprio a partire dalla vicenda Tim, visto che il vago progetto di semi-nazionalizzazione della sola infrastruttura di rete (Progetto Minerva) non esclude affatto lo spezzatino di quell’azienda. L’unica novità emersa dal primo incontro tra governo Meloni e Cgil Cisl Uil sulle Tlc è che il progetto messo in pista da Cassa depositi e prestiti di unire tutta la rete in fibra ottica, attualmente divisa tra Tim e Open Fiber, sotto un’unica proprietà, è stato accantonato definitivamente dal nuovo governo senza che siano ben chiare le alternative.
Il governo del “Pronti” (in campagna elettorale), debutta cominciando a incolpare l’esecutivo uscente per i ritardi sul Piano Italia a 1 Giga, che mettono a rischio parte degli obiettivi del Pnrr, e prende tempo fino a fine anno per decidere sul “Dossier Tlc”. Prontissimi....
Il tempo è finito e non scegliere significa decidere di mettere in seria difficoltà la sopravvivenza dell’azienda Tim e a rischio 40mila posti di lavoro più l’indotto. Non scegliere significa avviare il nostro Paese al definitivo declino nelle telecomunicazioni, riducendolo al ruolo di mero utilizzatore finale delle nuove tecnologie. Altro che sovranità digitale!