Elezioni in Israele. Una rivoluzione di destra o una farsa? - di Alessandra Mecozzi

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“Israele è alla vigilia di una rivoluzione di destra, religiosa e autoritaria”, titola il quotidiano Haaretz all’indomani delle quinte elezioni israeliane in meno di quattro anni, che hanno prodotto un ulteriore slittamento a destra e il ritorno al governo di Netanyahu, che riuscirà così ad evitarsi processo e carcere.

L'esasperazione della violenza pre-elettorale contro i palestinesi non ha portato al governo in carica con Lapid i voti che sperava, al contrario si è rafforzata l’estrema destra religiosa.

I probabili partner della coalizione di Netanyahu, Shas e United Torah Judaism, con l’Unità nazionale (Benny Gantz) e Israele Beitenu (Lieberman), rappresentano più della metà dei seggi nella coalizione guidata da Benjamin Netanyahu, che dovrebbe assumere il potere nelle prossime settimane.

I laburisti, hanno ottenuto solo 4 seggi, mentre sono esclusi dalla Knesset sia Meretz, sinistra sionista, che Balad, nazionalisti arabi. I partiti arabi (Hadash e Joint List) ottengono 5 seggi a testa.

Leggiamo ancora su Haaretz, sempre più una rara coerente voce israeliana di opposizione, che “non dobbiamo rinunciare alla nostra aspirazione a trasformare Israele in un luogo degno, equo e dignitoso per tutti i suoi cittadini, indipendentemente dalla religione, razza o sesso, come promesso nella Dichiarazione di Indipendenza”.

Difficile a credersi. Il fatto che la partecipazione al voto sia stata molto alta (oltre 70%), includendo gran parte di giovani, indica una società malata. “Il costante rafforzamento della colonizzazione dei territori occupati ha portato alla radicalizzazione sia della società israeliana che della sua rappresentanza politica” (Sylvain Cypel in Orient XXI).

Tra gli israeliani c’è chi ritiene che la responsabilità sia in particolare di due politici della sinistra: Merav Michaeli del partito Laburista, che ha rifiutato di unirsi a Meretz, e Sami Abu Shehade, leader di Balad, uscito dalla Joint List. È certo che queste mosse hanno indebolito ulteriormente l’opposizione, facendole mancare due o tre seggi. Ma non ci sono spiegazioni semplici per questi risultati, né si intravedono ipotesi di soluzione.

La soluzione, a lungo termine, a cui pensano alcuni israeliani di sinistra e alcuni dei palestinesi stessi sarebbe nella capacità di costituire un’ampia coalizione di ebrei e palestinesi che agisca rapidamente, senza farsi intimidire né corrompere, affrontando e combattendo una realtà razzista. Ma c’è chi, più drasticamente, ritiene che le elezioni in Israele siano ormai una farsa a cui i palestinesi debbano sottrarsi, abbandonando l’illusione che la politica israeliana possa essere modificata dall’interno.

L'esperimento precedente, del partito Ra’am, con Mansur Abbas entrato nel governo, lo ha mostrato. Voleva cambiare radicalmente, risolvendo i gravi problemi sociali e di discriminazione antipalestinese anche interni ad Israele, ma, abbandonando la Joint List, ha ulteriormente indebolito una possibile opposizione.

Eppure, osserva Ramzy Barud (Arab News 31 ottobre), anche dopo questo fallimento, i partiti palestinesi in Israele insistono nel partecipare a un sistema politico che ha un unico principio comune: i palestinesi sono, e saranno sempre, il nemico. Nell’“intifada dell’unità”, del maggio 2021, scoppiata con la scintilla della rivolta contro le espulsioni di famiglie a Sheikh Jarrah, i palestinesi si sono trovati a combattere contro la violenza razzista di esercito israeliano, polizia, servizi segreti, coloni armati e persino cittadini comuni. Quell’energia popolare avrebbe potuto essere un forte elemento di unità anche politica dei palestinesi, ma i politici sono rientrati nella Knesset, ancora pensando di cambiare il sistema politico corrotto di Israele.

“Rimanendo fedeli partecipanti alla farsa democratica di Israele, questi politici continuano a legittimare l’apparato istituzionale israeliano, danneggiando così non solo le comunità palestinesi in Israele, ma i palestinesi ovunque” (Ramzy Baroud, cit.). E Zvi Schuldiner, professore e giornalista israeliano, che conosce l’Italia, riflette amaramente su il manifesto: “... Svezia? Italia? Gli eredi del vecchio fascismo sono forse dei ‘moderati’ rispetto all’estrema destra che accompagna il ritorno di Benjamin ‘Bibi’ Netanyahu al governo. C’è solo un punto positivo in questa storia elettorale: il risultato delle elezioni potrebbe aiutare a smascherare la violenza di questi giorni. Il silenzio dell’opinione pubblica europea sui crimini dell’occupazione potrebbe forse cambiare”.

Likud 32

Yesh Atid 24

Sionismo religioso 14

Partito di unità nazionale 12

Shas 11

Giudaismo della Torah Unita 7

Israele Beitenu 6

Labor 4

La lista degli arabi uniti 5

Hadash-Ta’al 5

Meretz 0

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