Decrescita, se non ora quando? - di Paolo Cacciari

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A settembre a Venezia un incontro organizzato dalle associazioni che sostengono l’ipotesi di una società della decrescita.


Siamo giunti al “redde rationem”, all’età del boomerang, al momento in cui si palesano tutte le conseguenze di un sistema economico, sociale e politico insostenibile sul piano ecologico e insopportabile su quello etico e morale. Collasso climatico e guerre sono le principali, drammatiche evidenze. L’antropocene – così è stata definita l’era in cui la specie umana ha acquisito le capacità di modificare l’assetto biogeofisico del pianeta – si sta rivelando una catastrofe. La “capacità di carico” della biosfera, ovvero la spontanea rigenerazione dei cicli vitali naturali (dell’acqua dolce, dell’ossigeno tramite la fotosintesi clorofilliana, del fosforo e dell’azoto che regolano la fertilità dei suoli fino alla riproduzione delle specie animali e vegetali selvatiche), è compromessa dalle attività antropiche che distruggono lo spazio vitale. È in atto un biocidio. Una umanità attonita, umiliata e schiacciata dalle forze che detengono le principali leve dei meccanismi del potere, economici e militari, non sembra capace di reagire, di ribellarsi, di “insorgere” - per riprendere lo slogan usato dal collettivo degli operai della Gkn di Campi Bisenzio.

Sembra che ognuno speri di potersi mettere al riparo per conto proprio dagli effetti delle crisi sistemiche che investono l’intero pianeta. A nulla sembrano servire gli accorati appelli di un papa, Bergoglio (che molto ha preso dalla Teologia della liberazione), di una ragazzina, Greta Thumberg (che, come nella fiaba, svela la nudità, la stupidità e la miseria morale dei potenti) e degli stessi scienziati che da cinquant’anni (il “Rapporto sui limiti dello sviluppo” del Club di Roma data 1972) dimostrano con dati empirici inconfutabili il collasso della vita sul pianeta. Nemmeno la pandemia dovuta ad un virus che ha “saltato” i confini naturali tra le specie animali sembra averci avvertiti.

Le agenzie dell’Onu hanno calcolato che nel giro di pochi anni i profughi ambientali e gli sfollati a causa dei conflitti armati in corso (il “guerramondo” ne enumera 59) saranno più di 60 milioni. Non c’è chi non veda la follia di una umanità che, invece di dedicarsi alla cura della salute delle persone e della Terra, investe in armamenti e finanza eserciti. Ma tutto ciò non accade per caso. C’è una logica perversa che lega le crisi ecologiche, il ritorno delle politiche di potenza tra gli Stati e il crescente dispotismo al loro interno. È l’avidità e la conseguente volontà di dominio che guida la casta dei plutocrati ai vertici di poche decine di compagnie transnazionali.

Non c’è chi non veda la necessità di un cambiamento urgente, profondo, del “modello di sviluppo” neoliberale globalizzato. Per riuscirci bisogna “ascoltare il grido della Terra e quello dei popoli” (Bergoglio), ovvero, come dicono i movimenti sociali, mettere al centro la giustizia ecologica e quella sociale. Da tempo la critica ecologica all’economia politica capitalistica ha messo in evidenza l’incompatibilità di un sistema di produzione del valore che si affida alla crescita esponenziale delle merci poste sul mercato. Il parametro del Pil non tiene conto di un’infinità di altri valori, non monetizzabili e non mercificabili. Tra questi le “risorse” naturali e il lavoro vivo umano. La Terra (le risorse naturali) e il lavoro – come diceva l’economista Polanyi e altri prima di lui – non sono meri fattori sacrificabili nella produzione. La loro esistenza è la precondizione e il fine stesso di ogni cooperazione sociale. L’arte del ben vivere (il “buen vivir”) su questo pianeta consiste nel riconoscimento della delicata interazione tra tutte le forme di vita del sistema Terra. Il lavoro – nella sua accezione più vera e profonda - è tutte quelle attività che si prendono carico del buon funzionamento della vita su questo pianeta. Quando si dice “sviluppo sostenibile”, “green economy”, “economia circolare”, ecc. bisognerebbe fare un rapido calcolo dei bilanci di energia e di materia che vi vengono impegnati e a beneficio di chi. L’accesso ai beni della vita dovrebbe essere universale, e dovrebbe riguardare anche le generazioni future.

Attorno a questi grandi temi a Venezia, dal 7 al 9 settembre, presso l’Istituto universitario di Architettura, ci sarà un incontro organizzato dalle associazioni che sostengono l’ipotesi di una società della decrescita (degli impatti ambientali) a cui parteciperanno figure importanti dell’ecologia e della critica all’economia, tra cui Vandana Shiva, Jason Hikel, Timothée Parrique, Amaia Perez Orozco, Emanuele Leonardi, Viviana Asara.

 

Il programma è scaricabile dal sito: www.venezia2022.it

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