La festa del Primo di Maggio - di Tuccio Cutugno

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Il primo giorno di maggio rimane ancora per molti lavoratori, se pur lievemente sbiadito nel ricordo, la festosa memoria di un antico momento di lotta, di solidarietà e di unità internazionale. Né il fascismo, né la repressione statunitense sono riusciti nel passato a sradicare questo appuntamento che rimane tuttora, per buona parte del mondo, una giornata di festa solenne e identitaria.

Purtuttavia il tempo non è trascorso invano, i mutamenti nei processi produttivi, i cambiamenti nella struttura delle classi sociali, le sconfitte, la crescita delle disuguaglianze, il ritorno dei nazionalismi hanno contribuito a far appassire quel sentimento di unità e di solidarietà tra i ceti sociali subalterni e i lavoratori sfruttati di tutto il mondo.

La tragedia ucraina, che adesso dilania un popolo aggredito e che soprattutto violenta i più deboli e i più indifesi, sembra testimoniare come all’apparenza nulla sia cambiato da quel lontano 1914 quando l’Internazionale dei lavoratori fu travolta dal militarismo guerrafondaio e dagli interessi dominanti dei mercanti di armi. La prossimità di quanto accade nella vicina Ucraina non deve però farci dimenticare che tragedie analoghe si sono succedute nel corso dei decenni, dalla fine della seconda guerra mondiale a tutti gli anni dell’attuale millennio. Dalla crisi di Cuba, alle dittature dell’America meridionale, alle guerre di Corea e del Vietnam, dalla repressione delle “primavere arabe”, al permanente dramma della questione palestinese, in tutto questo tempo abbiamo assistito impotenti al soffocamento di qualsiasi anelito di riscatto e di liberazione di popoli e di comunità oppresse.

Ma soprattutto è responsabilità dei movimenti sindacali di tutti i paesi del mondo se l’egoismo di ciascuno nella difesa degli interessi nazionalistici ha diviso la comunità internazionale dei lavoratori, consentendo all’avversario di classe di continuare ad opprimere, a immiserire e a sfruttare il lavoro in ogni singola realtà nazionale. Sempre di più le organizzazioni sindacali di ogni singolo Stato si sono concentrate a difendere gli interessi dei lavoratori rappresentati all’interno dei confini nazionali, perdendo di vista e non comprendendo del tutto come l’economia e il capitalismo finanziario si stessero globalizzando.

Molto spesso, pur consapevoli dei problemi creati alle condizioni dei lavoratori dalla globalizzazione e dalla evoluzione dei processi produttivi, non si è stati capaci di dare risposte adeguate o di mettere in campo le necessarie iniziative di lotta. Molto spesso alla correttezza e alla validità delle analisi non ha corrisposto l’adozione di strategie rivolte a valorizzare e a rafforzare la solidarietà e l’unità delle forze sindacali presenti nei vari paesi del mondo.

Non vi è alternativa, a mio avviso, al compito che spetta alle classi dirigenti dei movimenti sindacali se non quello di riscoprire e rilanciare un rinnovato internazionalismo tra i lavoratori di tutti i paesi del mondo. La pratica attuale di limitare la lotta per la difesa del lavoro e delle sue condizioni a iniziative locali e territoriali, a volte poste in contrapposizione tra le diverse realtà locali, indebolisce i lavoratori e determina solo dumping sociale. Tale è stata ad esempio la recente vicenda dei nuovi insediamenti della multinazionale Intel, che ha visto contrapporsi Torino a Catania con i rispettivi sindacati a difesa dell’una o dell’altra opzione.

È in questo modo che mi piace ricordare e festeggiare il Primo Maggio, non come una nostalgica rimembranza di un passato glorioso quanto piuttosto come la rinnovata e potente opportunità di oggi, una reale opportunità di riscatto e di liberazione del lavoro. Viva il Primo Maggio, viva la Cgil.

 

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