Francia, buona la terza? - di Roberto Musacchio

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Le elezioni francesi si regalano un terzo (e quarto) turno, le legislative. Da quando è stato abolito il settennato, la vicinanza tra i due momenti dovrebbe rafforzare il semipresidenzialismo. Questa volta però l’anatra potrebbe azzopparsi dall’inizio.

Macron, la prima volta, costruì anche alle legislative una maggioranza parlamentare trasversale da destra repubblicana a pezzi di sinistra socialista e verdi. Mentre la destra lepeniana e la sinistra di Melenchon, i comunisti e i socialisti rimasti, separati e senza proposta politica furono ridimensionati.

Nella conferma al secondo mandato Macron ha sì vinto, ma perso slancio e rappresentatività. Al primo turno il suo voto è stato circoscritto alle parti ricche, geografiche e sociali, del Paese. La provincia e i ceti popolari hanno votato Le Pen, purtroppo, e Melenchon, la cui presenza è risultata fondamentale. Previsto in declino, ha al contrario esteso la sua rappresentatività. Primo tra i giovani e in molte città. Bene tra i ceti popolari e anche nei ceti medi intellettuali che guardavano ai socialisti e ai verdi. Né Melenchon è più un uomo solo al comando, se si pensa al ruolo di una giovane come Manon Aubry, capogruppo della Sinistra al Parlamento europeo.

Al ballottaggio i voti provenienti da sinistra sono stati decisivi per sconfiggere Le Pen. A Macron ne sono andati più della metà, mentre il resto ha scelto in grande maggioranza l’astensione. Che infatti è stata record. Macron ha vinto perdendo ben 16 punti rispetto al distacco della volta precedente su Le Pen, che fa il record storico della destra.

Ne viene fuori una Francia divisa in tre, scossa da anni di tensioni sociali ancora aperte, come sulle pensioni, ed ora con la guerra Ucraina che risveglia l’antico autonomismo gollista verso l’egemonismo Nato e anglosassone.

A differenza di cinque anni fa, a sinistra, dopo aver mancato il ballottaggio presidenziale per poche centinaia di migliaia di voti, c’è stato un rilancio. Facciamo una coalizione per vincere le politiche, hanno detto un po’ tutti. Diffidenze e egemonia si mettono da parte e l’accordo matura. Programmatico e politico. Un programma di cambiamento radicale, dalla sesta Repubblica al salario minimo e alle pensioni - l’età dovrebbe scendere da 62 a 60 anni invece di aumentare come vogliono Macron e Ue - dalla pace all’ambiente. Con i verdi, i comunisti e i socialisti.

Non è stato facile e si è proceduto per intese bilaterali. Prima tra France Insoumise e Verdi. Poi con i Comunisti. Con i Socialisti, che si sono divisi. Vecchi leader come Hollande, responsabili della disfatta del partito, si sono opposti duramente. Favorevole Martine Aubry, storica e combattiva ministra del lavoro, figlia di Delors. Oltre il 62% dei 300 del parlamentino socialista ha ratificato l’accordo. Nasce così la Nupes, nuova Unione popolare ecologista e sociale.

Le Unioni popolari in Francia, che non ha buttato al macero la propria storia come invece i soggetti politici italiani, rimandano a passaggi importanti. Dal Fronte Popolare che governò dal 1936 al 1938, alle coalizioni di sinistra che permisero la storica vittoria di Mitterrand, che costruì una egemonia sul Pcf e cercò una navigazione a sinistra, ma non trovò lidi sicuri scivolando nelle secche della restaurazione europea e mondiale che si avviava. Dopo di lui provò Jospin a riportare la barra a sinistra, con la manovra simbolo delle 35 ore, che provò a riprendere in Italia il Prc di Bertinotti alle prese col prodismo. Sconfitto Jospin, la storia socialista si fa declino fino alla sussunzione nel liberale Macron.

Non a caso è Melenchon, un vecchio socialista uscito da tempo da quel partito, a ricostruire una nuova Unione, innovata nell’approccio non subalterno alla globalizzazione liberista ed alle sue crisi, molto ecologista, che piace ai giovani. Alternativa alle due destre liberali e nazionaliste.

Mentre scrivo i sondaggi danno il Nupes primo schieramento. Segue il nuovo rassemblement di Macron con i vari pezzi di centro liberale. Poi le destre di Le Pen e Zemour. Si possono immaginare ballottaggi a tre, vista la soglia del 12,5% degli iscritti, e sperare in vittorie a sinistra.

In attesa del voto francese di giugno c’è stata la vittoria del Sinn Fein in Irlanda. Il Sinn Fein, la Nupes, Syriza in Grecia: tre forze guidate da sinistre radicali e radicate che competono per il governo sulla base di un’alternativa reale. Anche Unidas Podemos ha una volontà “maggioritaria”.

E' la dimostrazione che si può. Direi si deve. In un’Europa in crisi profonda per 30 anni di neoliberalismo di guerra sociale e militare, ci vuole la forza e la volontà di battersi per alternative e non per strapuntini appresso ad altre politiche. In Irlanda, Grecia e Francia le sinistre radicali sono più forti dei socialisti, peraltro in crisi. In Spagna il confronto è aspro.

I socialisti così possono ritrovare una prospettiva di sinistra, altrimenti finiscono sempre più sussunti dai neoliberali. E anche i verdi trovano una collocazione diversa da quella bellicista assunta in Germania.

 

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