Per Aldo Garzia - di Paolo Andruccioli

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Colpito da un ictus, si è spento all’età di 68 anni Aldo Garzia, giornalista, intellettuale raffinato. Era la seconda volta che gli accadeva. Ma la prima botta l’aveva superata qualche anno fa con forza e coraggio. Stavolta non ce l’ha fatta. Il suo corpo sarà cremato e le sue cornee donate, una scelta che ci ha colpito sia per l’ennesima prova di generosità di un uomo che ha dedicato tutta la sua vita a raccontare gli altri, sia per un aspetto simbolico: un giornalista e uno scrittore che ha usato i suoi occhi per indagare e capire, che dona – da morto - le sue cornee ad uno sconosciuto o una sconosciuta che torneranno a vedere. Sarà seppellito in Liguria, la sua regione di provenienza, accanto ai genitori.

Ho incontrato Aldo negli anni ottanta al manifesto, nella sede storica del quotidiano comunista di via Tomacelli. Era poco più grande di me, ma con un’esperienza politica e giornalistica più avanzata. Aveva cominciato a fare politica da giovane, un liceale. Arrivato a Roma cominciò a lavorare nella redazione del quotidiano con legami politici forti. I suoi riferimenti principali, ci teneva a dirlo continuamente, sono sempre stati Lucio Magri e Pietro Ingrao, ma ha avuto rapporti intensi anche con Rossana Rossanda, Aldo Natoli, Luigi Pintor, Luciana Castellina, Valentino Parlato, solo per citare i nomi più noti. Il rapporto più forte, nel corso degli anni, è stato comunque quello con Lucio Magri, storico dirigente del Pdup, il Partito di unità proletaria.

I suoi colleghi e compagni del giornale hanno ricordato i suoi articoli sulla figura di Willy Brandt e sulla Ostpolitik. “Saggio e insieme passionale, allegro e raffinato, questo era il suo stile – si legge sul ‘manifesto’ – uno stile che gli permetteva di sconfinare, come ha fatto con libri di rara intensità e originalità, dalla musica di Gino Paoli a Ingmar Bergman, da Che Guevara a Olof Palme, dall’amata Cuba al socialismo di Zapatero. Aveva lavorato nelle redazioni di ‘Pace e guerra‘ e poi aveva diretto le riviste ‘Aprile’ e ‘Palomar’”.

Ho scelto di utilizzare questa sintesi perché la sento molto mia. Condivido il ritratto di un giornalista che aveva qualità e sensibilità particolari. Come hanno scritto in molti, anche a me colpiva il lato ironico del suo carattere. Anche nelle varie chiacchierate che abbiamo avuto modo di fare nel corso dei lunghi anni di lavoro al ‘manifesto’, manteneva sempre un atteggiamento apparentemente distaccato e sardonico. Non gli mancava mai la battuta critica su te che ci parlavi o su soggetti vari della politica.

Nelle assemblee di redazione non sempre eravamo d’accordo, ma tra noi c’è stata sempre una stima reciproca. Mi ricordo quando spesso mi prendeva in giro dopo qualche mio intervento pubblico: “Non condivido quello che hai detto, ma almeno sei stato lucido…” E per me - ovviamente - era comunque un complimento che ricambiavo commentando i suoi articoli su Cuba o sulla politica italiana, anche se tra me e lui divergeva quasi sempre l’accento da dare sugli aspetti partitici della politica o su quelli sociali. Per lui, che veniva dall’esperienza del Pdup, il riferimento doveva essere il partito. Per me che venivo invece dai collettivi operai del ‘manifesto’ (quelli che sarebbero poi diventati il Circolo di Montesacro), era limitativo pensare solo al partito seppure “nuovo”. Un dibattito che ha attraversato la sinistra italiana post sessantottina per mezzo secolo. E che probabilmente non ha ancora trovato una definizione nell’equilibrio difficile e complesso di politica e società.

L’altra bella caratteristica di Aldo, oltre all’ironia sorniona, era la curiosità. Come ha detto Luciana Castellina nel ricordo che c’è stato di recente a Roma presso la sede della Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, Garzia non si fermava mai, era sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, un lungo viaggio di ricerca intellettuale e umana denso di interessi culturali (per la musica e in particolare per Gino Paoli, per il cinema con il mito di Ingmar Bergman). Un viaggio che lo portava ad approfondire e studiare ogni cosa gli capitava sotto mano. Era il contrario di una certa superficialità che riscontriamo oggi nel mondo dell’informazione, dove notizie e fake si confondono continuamente in un vortice della confusione. Aldo sapeva invece guardare oltre le cortine fumogene, e la sua curiosità e la voglia di creare qualcosa di nuovo da lasciare in eredità non si sono mai esaurite.

L’esperienza del “Terzogiornale”, nato dalla Fondazione per la Critica sociale diretta dal filosofo Rino Genovese, è stata condivisa e condizionata da Aldo. Credeva nella politica. Credeva nelle idee e si è sempre opposto alla demolizione delle nostre ideologie, quelle della sinistra, a quel gettare il bambino insieme all’acqua sporca.

Per quanto mi riguarda posso solo condividere con voi la grande tristezza di questa perdita, sperando che molti dei semi che Aldo ha seminato sui lunghi sentieri che ha percorso possano un giorno germogliare.

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