Tim: governo e Cassa depositi e prestiti facciano il loro mestiere - di Alessandro Volpi

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L’Opa del fondo americano Kkr può essere l’occasione per una politica pubblica delle comunicazioni, di fronte alla quale la Commissione europea potrebbe dire poco vista la situazione di altri paesi.   

Il fondo americano Kkr, con una disponibilità di 400 miliardi di dollari, presente con posizioni di rilievo nella proprietà di numerose società di infrastrutture, e di vari mezzi d’informazione in giro per il mondo, ha manifestato l’interesse a lanciare un’Opa per ottenere la maggioranza assoluta e poi la totalità delle azioni di Tim; vorrebbe acquisire, in sintesi, quella che viene ancora impropriamente chiamata “rete telefonica”, ma è di fatto la principale infrastruttura italiana, possedendo già una partecipazione importante nell’“ultimo miglio” e puntando a prelevare anche quel pezzo di infrastruttura internazionale in mano all’Italia, oltre al formidabile serbatoio di dati sensibili posseduti da Sparkle.

Sembra che l’iniziativa del fondo americano sia stata sollecitata da una parte del consiglio di Tim di fronte alla caduta del prezzo del titolo e per contrastare il peso del principale azionista Vivendi. Al di là delle supposizioni si profila comunque un vero e proprio assalto, condotto da un operatore finanziario onnivoro, che aggredisce un pezzo cruciale del sistema strategico italiano. L’unica reazione, al momento, pare essere stata proprio quella del socio francese di Tim, la Vivendi di Vincent Bolloré, onnipresente in Italia, fresco di una dura battaglia con Mediaset, poi giunta a composizione, e impegnato in Francia a sostenere Eric Zemmour, il possibile candidato della destra populista all’Eliseo.

Tutto questo sta avvenendo, è bene ricordarlo, mentre la politica discute, in televisione e alla presentazione dei libri del noto storico Bruno Vespa, del “super Green pass”, e soprattutto di chi sarà il kingmaker del futuro inquilino del Quirinale. Certo - sosterrebbe qualcuno - forse è meglio che i partiti evitino di occuparsi della rete, visti i disastri delle diverse ondate di privatizzazioni, l’operato dei capitani coraggiosi e lo scempio compiuto dai salotti buoni della finanza italiana.

Tuttavia, la principale infrastruttura italiana non può diventare preda della finanza internazionale nel silenzio generale. A questo riguardo, tre elementi colpiscono in particolare. Il primo è rappresentato dal fatto che non esiste in giro per il mondo un caso dove un monopolio di questo rilievo sia interamente nelle mani di un fondo finanziario. Se Kkr acquisisse la maggioranza assoluta di Tim, si tratterebbe di una colossale anomalia; saremmo di fronte ad un incumbent in totale possesso della finanza.

Il secondo elemento si lega ad una domanda. Ma perché Kkr ha manifestato la volontà esplicita di comprare la maggioranza delle azioni di Tim? Forse per far capire allo Stato italiano, che sembra non averla ancora capita in pieno, la strategicità dell’asset dell’infrastruttura e dei dati connessi e magari rivendere la maggioranza di Tim fra un paio d’anni a Cassa depositi e prestiti, dunque allo Stato italiano, non a 11 ma a 15 miliardi, procedendo poi a vendere anche il settore dei servizi ad operatori del settore, con una significativa presa di beneficio sul prezzo. Il terzo elemento si lega alla constatazione che l’esercizio del golden power da parte del governo, senza una strategia vera, sarebbe inutile.

Sarebbe opportuno invece che Cassa depositi e prestiti puntasse subito al controllo di Tim muovendosi in anticipo, dopo il ricorso alla golden power, e ricorrendo se necessario al debito, visto che Kkr userà certamente l’effetto leva con l’appello al sistema bancario. Il percorso potrebbe essere dunque quello di anticipare il fondo statunitense per mettere insieme Tim con Sparkle e con Open Fiber, riunendo l’ultimo miglio e ricomponendo in mani pubbliche la proprietà della principale infrastruttura delle comunicazioni.

 

Una volta riacquisito il monopolio, lo stesso Stato dovrebbe poi evitare di scorporare anche i servizi, per fare in modo che esista una profonda connessione fra la rete “fisica” e l’intelligenza dell’innovazione tecnologica a cui serve un disegno organico. In altre parole, l’Opa di Kkr può essere l’occasione, finalmente, per una politica pubblica delle comunicazioni, di fronte alla quale la Commissione europea potrebbe dire poco, vista la situazione di altri Paesi.

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