In Venezuela, lo scorso 21 novembre, si sono svolte le importanti elezioni regionali e municipali, un banco di prova per la tenuta del processo bolivariano nell’elezione numero 29 in ventidue anni. Chi scrive questa nota, ha partecipato all’accompagnamento elettorale, insieme a una delegazione della Sinistra Europea e a più di trecento “accompagnatori” ed osservatori internazionali dei quattro angoli del pianeta. In queste elezioni erano accreditati più di 70mila candidati di 82 formazioni politiche, di cui la maggioranza dell’opposizione, a testimonianza di un grande pluralismo politico che conferma la vocazione democratica di un governo che dalla Casa Bianca e dai peggiori regimi dell’America Latina viene definito come “dittatura castro-chavista”.
Alle elezioni hanno partecipato i settori dell’opposizione smarcatisi da quelli golpisti e violenti che hanno goduto (e godono) del sostegno degli Stati Uniti e, finora, anche della stessa Unione europea. Per intenderci, la parte più estremista dell’opposizione di destra che fa riferimento all’auto-proclamato presidente Juan Guaidò, che è arrivata a chiedere l’intervento militare straniero e sanzioni contro la propria popolazione.
Il Partito Socialista Unito del Venezuela (Psuv, il partito di Chavez e Maduro), insieme ai suoi alleati, ha ottenuto la vittoria nella capitale e in 20 dei 23 Stati. Una vittoria favorita certamente dalla divisione dell’opposizione, incapace di trovare l’unità al proprio interno. Il voto castiga inoltre la strategia distruttiva della destra che, in questi anni, non ha portato a casa nessun risultato. Da parte sua, il “chavismo” sconta il logorio di una crisi economica in gran parte derivata dal bloqueo e dalle “sanzioni” Usa e Ue, e soffre anch’esso una certa disaffezione di parte della sua base sociale. L’astensione ha superato la metà degli aventi diritto al voto, divisa tra sostenitori del governo e dell’opposizione.
Il contesto elettorale era stato preceduto e favorito dall’inizio del dialogo in Messico tra governo e opposizione. Un dialogo purtroppo interrotto a causa del sequestro statunitense, a Cabo Verde, del diplomatico venezuelano e membro del tavolo del dialogo, Álex Saab, “colpevole” di aiutare il Paese a rompere il bloqueo. Un sequestro in piena regola, l’ennesimo atto di pirateria extraterritoriale, in flagrante violazione del diritto internazionale e della Convenzione di Vienna.
Come è noto, contro l’esperienza bolivariana gli Stati Uniti si sono prodigati in un’incessante opera di destabilizzazione politica e economica, con tentativi di colpo di Stato e di omicidio delle autorità istituzionali (a partire dal presidente Maduro), azioni terroriste, misure coercitive unilaterali (mal chiamate sanzioni) che ne danneggiano gravemente l’economia. Mentre nella vicina Colombia, da cui partono attacchi di criminali e terroristi, vengono assassinati ogni anno centinaia di dirigenti sociali e politici e si fa strage di scioperanti. Ma si tratta di un Paese che è “socio globale” della Nato e quindi senza condanne, né sanzioni da parte di Usa e Ue.
Tra gli osservatori era presente la delegazione ufficiale della Unione europea, che ha potuto attestare il clima sereno, la piena trasparenza di un sistema elettorale automatizzato ed ampiamente auditato, totalmente a prova di brogli e definito come “il migliore del mondo” dall’ex presidente statunitense Jimmy Carter. La dichiarazione preliminare europea è una chiara smentita delle affermazioni di Antony Blinken, a nome dell’amministrazione Biden, di elezioni “non valide”. Una linea golpista da cui è ora che prendano le distanze sia la Ue che il balbettante governo italiano, rispettando la legalità delle istituzioni venezuelane, i risultati delle urne, la legittimità del suo governo e del presidente Nicolás Maduro.
Il popolo venezuelano ha dato un’ennesima prova di democrazia. È un risultato che conferma il cammino di trasformazione in atto, in un rinnovato e imprescindibile clima di dialogo tra governo e opposizione, condizione indispensabile per una stabilizzazione politica e per il superamento della dura crisi economica e sociale.
È ora di rimuovere tutte le criminali misure coercitive unilaterali che violano i diritti umani della popolazione, ancor più durante la pandemia del Covid19. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Il Venezuela bolivariano continua a rappresentare una speranza per i popoli che si battono per la propria liberazione. Lo capiranno il governo italiano e l’Unione europea? O continueranno a genuflettersi agli ordini della Casa Bianca?