Cambiare le pensioni, adesso - di Paolo Righetti

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Assemblea regionale della Cgil Veneto a sostegno della vertenza pensioni.   

Si è tenuta il 22 settembre un’assemblea regionale della Cgil del Veneto sulla previdenza, con la partecipazione delle strutture confederali e categoriali provinciali e regionali e di molti delegati e delegate, Rsu, Rsa, funzionari e operatori territoriali dello Spi. Ai lavori, introdotti dalla segreteria regionale Cgil, hanno partecipato Ezio Cigna, responsabile Previdenza della Cgil nazionale, e il segretario confederale Roberto Ghiselli, ed hanno portato un loro contributo compagni e compagne dell’Inca, dello Spi, del dipartimento Welfare della Cgil Veneto e di tutte le categorie.

L’assemblea ha fatto il punto sullo stato del confronto con il governo, per cominciare a preparare il terreno di una probabile mobilitazione. E per approfondire le diverse tematiche previdenziali, con uno sguardo rivolto alle esigenze che derivano dall’evoluzione demografica e dalle trasformazioni del mondo del lavoro. A fine anno scadono “quota 100” e le proroghe dell’ape sociale e di opzione donna. Senza nuovi tempestivi provvedimenti si ritornerà alle previsioni della legge Fornero: 67 anni di età o 43 anni di contributi per andare in pensione, per molti uno scalone di 5-6 anni, da un giorno all’altro.

A distanza di anni il sindacato sconta ancora il disappunto e la critica della propria rappresentanza per l’inadeguatezza della risposta a quella legge. Negli anni successivi la Cgil ha tentato di recuperare, rilanciando l’iniziativa e acquisendo risultati importanti, ma parziali e delimitati ad alcune categorie di lavoratori e lavoratrici. Più che mai oggi, e non solo a fronte delle scadenze di fine anno, è indispensabile una riforma complessiva e strutturale del sistema previdenziale.

Le principali esigenze a cui dare risposta, gli obiettivi prioritari e le soluzioni sono quelle contenute nella piattaforma unitaria che da anni è stata predisposta e portata al confronto istituzionale con i diversi governi che si sono succeduti.

Una flessibilità in uscita che dia un’opzione di scelta, con la possibilità di andare in pensione a partire dai 41 anni di contributi o dai 62 anni di età; condizioni di accesso più favorevoli e raggiungibili per i redditi più bassi e per le categorie più fragili, migliorando i requisiti contributivi e gli importi minimi di prestazione richiesti per l’accesso ai trattamenti pensionistici; un riconoscimento pensionistico del lavoro di cura e assistenza familiare, svolto prevalentemente dalle donne, e della diversa gravosità dei lavori; l’introduzione di una pensione di garanzia per i più giovani e per quanti hanno un percorso caratterizzato da lavori precari, discontinui, con part-time involontario. E ancora, una maggiore accessibilità e diffusione dei contratti di espansione e dell’isopensione per favorire i passaggi da lavoro a pensione, soprattutto nella gestione delle crisi e dei processi di ricambio professionale e generazionale a livello aziendale; infine una maggiore tutela del potere d’acquisto delle pensioni, con il ripristino della loro piena rivalutazione.

Sono proposte e richieste avanzate da mesi anche al governo Draghi, che finora non si è impegnato a un confronto organico e preventivo in tempo utile per decisioni e risorse necessarie nella prossima legge di bilancio. E che sul merito non ha dato nessuna risposta concreta e non ha assunto alcun impegno preciso. Anzi la percezione emersa dagli incontri di fine luglio è che il governo sia orientato a soli interventi minimali. Non sia disponibile, insomma, a confrontarsi e a dare riscontro alla nostra richiesta di una riforma organica che garantisca più equità e solidarietà all’intero sistema.

Il miglioramento della normativa e degli strumenti previdenziali dovrebbero rientrare fra le priorità strategiche di questo Paese, per garantire un accesso sostenibile e trattamenti adeguati e dignitosi a chi deve andare e a chi è già in pensione, e soprattutto per garantire una prospettiva previdenziale vera a milioni di lavoratrici e lavoratori. Altrimenti si mette a rischio la stessa tenuta intergenerazionale e finanziaria del sistema previdenziale pubblico.

Per questo, se le cose non cambiano nei prossimi giorni, sarà necessario rilanciare la nostra iniziativa e organizzare una mobilitazione adeguata a sostenere le nostre rivendicazioni, su un tema che continua ad essere cruciale per la tutela della nostra rappresentanza, e per la credibilità e autorevolezza della nostra azione contrattuale. Mobilitazione che dovrà essere specifica sui temi previdenziali, ma potrà collocarsi anche in quella più generale che bisogna mettere in campo se non dovessero arrivare risposte concrete e adeguate anche sugli altri punti del confronto con il governo: dalle modalità di gestione del Pnrr alla riforma del fisco, fino alla riforma degli ammortizzatori sociali.

L’Assemblea regionale ha avuto proprio lo scopo di coinvolgere nel modo più ampio possibile il gruppo dirigente allargato della Cgil veneta, per poi trasmetterne i contenuti nei luoghi di lavoro, nel territorio e nelle Leghe, e preparare il terreno per una forte partecipazione alle necessarie mobilitazioni.

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