Carceri: dalla relazione del Garante il monito a riportare la pena nell’alveo costituzionale - Denise Amerini

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Il 21 giugno scorso è stata presentata in Parlamento la relazione 2021 del Garante per le persone private della libertà. La presentazione si è soffermata su alcuni dati, in particolare sul sovraffollamento delle carceri che, nonostante alcune parziali misure prese nel 2020, si attesta ancora su una presenza di circa 7mila persone in più rispetto ai posti regolamentari. Ha sottolineato la gravissima carenza di adeguati investimenti nelle misure alternative, a maggior ragione essendo molte le persone ristrette che scontano misure di pena inferiori a un anno.

Il Garante ha centrato la presentazione sul valore assoluto della dignità umana, il cui rispetto è dovuto a tutte le persone, anche a chi ha commesso un reato, a prescindere dal reato commesso. Ha usato le parole: “La dignità umana è il diritto ad avere diritti”, e “Il tempo di vita sottratto alle persone ristrette abbia finalità costruttiva”. In questa occasione, il presidente della Camera, Roberto Fico, ha affermato: “La pandemia ha confermato le gravissime carenze del sistema penitenziario, incompatibili con la dignità della persona e il fine rieducativo della pena”.

Ebbene, tutto questo - cose che noi affermiamo da sempre, avendo messo al centro della nostra elaborazione e della nostra pratica, nei confronti delle persone ristrette, il diritto alla salute, a condizioni di vita dignitose, all’istruzione, alla formazione, a un lavoro dignitoso e correttamente retribuito - non può non farci riflettere ancora sui fatti accaduti a Santa Maria Capua Vetere. Fatti che, purtroppo, non solo i soli accaduti.

Ricordiamo, solo per fare un esempio, che quindici persone, operanti nel carcere di San Gimignano, sono indagate dalla procura di Siena per il reato di tortura: dieci di queste sono già state condannate, avendo scelto il rito abbreviato, e cinque sono state rinviate a giudizio; il ministero di Giustizia si è costituito parte civile. Anche per gli episodi avvenuti nel carcere di Torino, a conclusione delle indagini, è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per venticinque fra agenti e operatori. Tra i vari reati contestati c’è anche quello di tortura.

Come ha detto la ministra Marta Cartabia: “Occorre un’indagine ampia perché si conosca quello che è successo in tutte le carceri nell’ultimo anno, dove la pandemia ha esasperato tutti”, annunciando che una commissione ispettiva del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) visiterà tutti gli istituti penitenziari dove si sono verificati “i gravi eventi del marzo 2020, per valutare la correttezza degli interventi legati alle rivolte nelle carceri”. “Le violenze e le umiliazioni inflitte ai detenuti a Santa Maria Capua Vetere – ha aggiunto la ministra - recano una ferita gravissima alla dignità della persona, pietra angolare della nostra convivenza civile, come chiede la Costituzione, nata dalla storia di un popolo. Il carcere è lo specchio della nostra società. Ed è un pezzo di Repubblica, che non possiamo rimuovere dallo sguardo e dalle coscienze”.

Parte importante, necessaria, della relazione di quest’anno è pertanto quella in cui il Garante si è soffermato sull’analisi del populismo penale, ormai dilagante, che rischia di giustificare anche fatti estremamente gravi come quelli di Santa Maria Capua Vetere, collocandoli nel ragionamento che se le persone sono lì è perché se lo meritano; che per certi reati ci vorrebbero i lavori forzati o la pena di morte; che certi individui andrebbero messi a pane e acqua e buttata la chiave. Con buona pace della nostra Costituzione e dei Padri costituenti, che hanno ragionato in termini rieducativi, sempre, e mai afflittivi, proprio perché il carcere lo avevano conosciuto.

Proprio partendo dalle importanti riflessioni del Garante, è ormai improcrastinabile, e anche la pandemia ce lo ha confermato, ragionare davvero in termini di depenalizzazione di alcuni reati, di giustizia riparativa, di misure alternative alla detenzione, di un nuovo regolamento penitenziario.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede un finanziamento di 132,9 milioni di euro, dal 2022 al 2026, per la costruzione e il miglioramento delle strutture penitenziarie. Al di là dei necessari interventi - esistono per esempio ancora celle con i wc a vista e docce comuni senza acqua calda - il problema non si affronta, e tantomeno si risolve, costruendo nuove carceri: abbiamo bisogno, come sostiene il professor Glauco Giostra, di “ricostruire la nostra fatiscente cultura della pena”.

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