Prima di Pasqua le scuole sono state chiuse, dopo che buona parte del Paese è stato dichiarato in zona rossa a causa di una nuova ondata di contagi determinata dalle cosiddette varianti del virus, in grado di diffondersi più facilmente anche tra le classi di età più giovani, che sembravano fino ad ora in gran parte preservate. Questo il motivo che ha indotto alla chiusura totale delle scuole - anche quelle del primo ciclo prima escluse - e il ricorso alla didattica a distanza ovunque.
Passata la Pasqua le scuole sono state riaperte, per forte volontà del governo, ma senza che venisse adottata nessuna nuova misura per garantire ad alunni e personale scolastico lo svolgimento delle attività in piena sicurezza, in ragione della nuova situazione epidemica che vede proprio tra i ragazzi in età scolare una intensa circolazione del virus. Non c’è stato lo screening di tutta la popolazione scolastica prima di riavviare le lezioni, come pure era stato promesso da ambienti del ministero dell’Istruzione. Non sono state programmate indagini periodiche o l’utilizzo di test rapidi, per consentire una più immediata individuazione e isolamento dei contagi (come in alcuni Paesi europei). Né sono stati potenziati i dispositivi di protezione individuali (ad esempio mascherine ffp2), almeno per il personale delle scuole d’infanzia dove per i bambini, in ragione della piccola età, non è previsto l’utilizzo della mascherina chirurgica.
Anche il piano vaccinale, che prevedeva una priorità per il personale della scuola, non è stato ancora completato, in quanto ad oggi è stato raggiunto con la prima dose circa il 70% della categoria, mentre in pratica ancora nessuno ha ricevuto il richiamo per completare la copertura. Inoltre il commissario all’emergenza, il generale Figliuolo, ha di recente modificato il piano vaccinale, assegnando la priorità assoluta ai più anziani (tra cui purtroppo è ancora molto alta la mortalità a seguito di contagio), e pertanto il personale scolastico ancora non vaccinato dovrà necessariamente attendere una fase successiva. Così come molto poco risulta sia stato fatto per potenziare le misure precauzionali nelle fasi che precedono o seguono le lezioni, come ad esempio in materia di trasporti pubblici per gli alunni.
Insomma, nonostante le tante dichiarazioni sull’importanza della scuola in presenza, molto poco è cambiato rispetto alla prima fase della pandemia riguardo alle condizioni di sicurezza e alle misure per prevenire il contagio negli ambienti scolastici. È stato detto che i benefici della riapertura delle scuole sono ben superiori ai rischi, ma francamente non è tollerabile alcun rischio se questo riguarda il “sacrificio” anche solo di una vita umana. E qui non si parla solo dei docenti, ma di chiunque possa venire contagiato a seguito della maggiore diffusione del virus in conseguenza del fatto che ogni giorno circa dieci milioni di individui (tra alunni e personale) viaggiano e si incontrano senza le necessarie misure di sicurezza. Il rischio è che in questo modo, e vista anche la lentezza con cui procede il piano vaccinale, cresca nuovamente l’indice dei contagi, causando una nuova chiusura delle scuole oltre che del Paese.
Il sindacato scuola ha chiesto unitariamente e a gran voce l’aggiornamento del Protocollo sulla sicurezza nelle scuole, fermo alla situazione epidemica dell’agosto 2020. Inoltre ha rivendicato l’esigenza di definire col governo un “Patto per l’istruzione e la formazione” per risolvere questioni annose, che la situazione emergenziale ha aggravato, come l’organico, il reclutamento, il precariato, il tempo pieno, l’edilizia, ecc. Tutte questioni che, se non risolte, rischiano di accrescere le già forti differenze nei rendimenti scolastici degli studenti, causando ulteriori squilibri e diseguaglianze sociali fra territori e regioni.
A disposizione ci sarebbero anche i circa 17 miliardi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), sulle cui modalità di utilizzo però fino adesso non c’è stato alcun confronto.
Il nuovo ministro Bianchi, appena insediato, ha dichiarato di volere “riportare gli studenti in presenza e in sicurezza il primo possibile” e inoltre di voler fare “cominciare l’anno prossimo a tutti il primo settembre”. Ma fino ad oggi ancora poco o nulla di concreto è seguito a queste impegnative dichiarazioni. A questo punto a rischio non è solo la conclusione dell’anno scolastico corrente, ma anche l’avvio del prossimo. I prossimi giorni saranno decisivi per verificare se alle dichiarazioni seguiranno finalmente i fatti, in assenza dei quali la Cgil dovrà trarne le conseguenze.