La discutibile gestione delle lotte da parte di un sindacato autonomo non può allentare unità e solidarietà di classe.
L’articolo che segue richiede uno sforzo particolare di lettura. Non perché altri articoli non meritino una lettura attenta, ma perché se venisse letto dando un’occhiata e via potrebbe prestarsi a fraintendimenti.
Nelle giornate del 10 e 11 marzo, a Piacenza e Prato, lavoratori del settore della logistica – a Piacenza – e di un’azienda tessile – a Prato – sono stati oggetto di una violenta repressione. In ambedue i casi si tratta di lavoratori immigrati sottoposti a condizioni di lavoro inumane, che rivendicano l’applicazione dei contratti nazionali di lavoro.
A Prato il blocco dei cancelli effettuato in modo pacifico è stato spazzato via in malo modo dalla polizia, sei lavoratori sono stati feriti. A Piacenza 25 operai della Tnt sono stati portati in questura dopo perquisizioni in casa, mentre due sindacalisti, Carlo Pallavicini e Mohamed Arafat, sono stati arrestati ai domiciliari con accuse di resistenza aggravata, per una vertenza che si era conclusa, dopo 13 giorni di blocco dei cancelli, con un accordo in Prefettura.
I fatti parlano chiaro: una forma di lotta, il picchetto operaio e il blocco dei cancelli, considerata come reato e violenza, con le aggravanti – mai abrogate – del decreto Salvini sulla sicurezza e l’intervento di polizia (e anche della magistratura nel caso di Piacenza) a sostegno del padronato, che viola i contratti nazionali siglati dai sindacati confederali e la legge, e non riconosce le rappresentanze sindacali dei lavoratori.
Ambedue le vertenze sono organizzate da una sigla sindacale autonoma, il Si Cobas. Molti, giustamente, sono rimasti sorpresi dal silenzio dei sindacati confederali, quasi che la questione non ci riguardasse.
Non è compito mio fornire giustificazioni a nessuno. Anche perché – in nessun caso – la rivalità organizzativa fra sigle sindacali può far venire meno la solidarietà di classe tra lavoratori. Ero un giovane militante, quando furono arrestati in provincia di Firenze due delegati sindacali per un picchetto davanti ai cancelli della loro azienda, e ricordo benissimo lo sciopero generale dell’intera provincia e il corteo di migliaia e migliaia di persone, operai e studenti, che gridavamo insieme “il picchetto operaio non si tocca!”.
Dunque, i sindacati confederali (e non solo) che tacciono, sbagliano. Ma sarebbe un errore se oltre il testo (la repressione poliziesca di una vertenza di lavoro portata avanti dai lavoratori che più pagano in quanto immigrati il peso dello sfruttamento e della violazione di leggi e contratti da parte dei padroni) non valutassimo anche il contesto: perché queste vertenze sono isolate nel contesto sociale anche – nel caso di Piacenza – rispetto ai lavoratori strutturati? Questo chiama in causa la direzione di quelle lotte.
Il Si Cobas ha “uno stile di lavoro” che lo ha già esposto a iniziative giudiziarie con accuse gravi rispetto al proprio operato. Potrei dire che ha uno stile “americano”. “Sul piano dell’immagine pubblica il Si Cobas appare come un sindacato conflittuale. Sul web ci sono video di picchetti e scioperi in cui spesso i lavoratori si fronteggiano con la polizia. Ma dietro questa rappresentazione c’è una seconda verità che non viene raccontata sui social, e che solo chi sta dentro i magazzini conosce. La logica del Si Cobas è quella di assumere il controllo della forza lavoro, per arrivare alla gestione del personale e delle assunzioni dentro i magazzini. Dopo una prima fase di forte conflittualità, il Si Cobas raggiunge il piano negoziale con le controparti, con l’obiettivo di posizionare i propri rappresentanti nei ruoli di capireparto o capisquadra (team leader), assumendo così la gestione della forza lavoro. In cambio di questa funzione, riconosciutagli informalmente dall’azienda, il Si Cobas si impegna a mantenere basso il tasso di conflittualità”.
Queste non sono parole mie o di qualche altro dirigente della Cgil, è quanto scriveva nel 2018 l’Usb di Piacenza.
Ecco perché la solidarietà con i lavoratori in lotta, nostri fratelli e sorelle di classe, la riflessione autocritica sulla nostra limitata capacità (come Cgil) di parlare e organizzare il lavoro ipersfruttato e discontinuo, si devono accompagnare a una battaglia a fondo contro una direzione delle lotte che le spinge all’isolamento, e le distoglie dalla unità di tutti i lavoratori dentro e fuori le aziende.
Per dirla in modo antico, la contraddizione principale (quella tra noi e il nemico, tra i lavoratori e i padroni) non ci deve far abbassare la guardia sulle contraddizioni in seno al popolo (quelle tra lavoratori), che possono rapidamente degenerare.