Certo, i numeri sono impressionanti. Impossibile tralasciarli. Come si scrive “settecentotrentatrèmilionidieuro”? Quanti sono? Quanto ci vuole a contarli? In monete da un centesimo quanto spazio occupano? Come rider quante consegne devo fare per produrre “settecentotrentatrémilionidieurovirgolazerozero”? E quante vite mi serviranno per farle, tra l’altro pagato a cottimo? Questo e altro mi frullava per la testa la mattina del 24 febbraio, non appena è apparsa, dirompente, la notizia. Totalmente disorientato, sotto shock, cercavo di scrivere subito un post per la pagina facebook Info Rider Milano (seguiteci!) ma venivano solo commenti a dir poco sconvenienti. Di colpo la sanzione da 12 milioni di euro comminata da un tribunale spagnolo a Glovo ha assunto la rilevanza di una multa per divieto di sosta. Il significato più ampio della svolta di Just Eat verso la subordinazione (trattative con i sindacati ancora in corso) che diventa come Mercurio di fronte al Sole.
Agitato e confuso, con la paura che si tratti solo di un titolone cattura click, riprendo a leggere: la sanzione viene notificata alle quattro principali piattaforme digitali del food delivery (Glovo, Uber Eats, Deliveroo e Just Eat) per l’inosservanza totale del Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro. Dal primo gennaio 2017 al 30 ottobre 2020.
L’indagine sembra molto approfondita. Sono stati intervistati oltre mille rider. Gli investigatori hanno indagato anche nei gruppi facebook. Hanno acquisito i dati e approfondito i profili di oltre 60mila rider che in quell’intervallo di tempo hanno lavorato in maniera continuativa per almeno una delle piattaforme. E hanno certificato che non siamo lavoratori autonomi puri, ex articolo 2222 codice Civile, ma collaboratori continuativi etero organizzati.
Ci vengono quindi riconosciuti i diritti e le tutele dei lavoratori subordinati, come da previsione dell’articolo 2 comma 1 del dl 81/2015. Questa volta a livello massivo, per tutta la categoria e non solo per il singolo rider ricorrente che, di volta in volta, trascina in tribunale una piattaforma in una causa individuale.
Tremo ancora di più. Abbiamo vinto? Davvero abbiamo vinto? Scacco matto? Game over? Le piattaforme accetteranno davvero di regolarizzarci in cambio di una corposa riduzione della sanzione? Rinunceranno davvero a quell’infamia del cottimo che, in maniera magistrale, il compagno Francesco Melis del NIdiL di Milano sintetizza come “rincorrere la possibilità di un guadagno incerto”? Non lo so ancora. Certo è che quella bomba ad orologeria rappresentata dal sistema di sfruttamento delle piattaforme digitali del food delivery il 24 febbraio è esplosa, e l’onda d’urto, tremenda, potrà avere implicazioni fondamentali anche in altri settori dove demandare a un algoritmo l’organizzazione del lavoro diventa giustificazione per calpestare diritti fondamentali, quali quelli alla retribuzione e alla sicurezza.
Proseguo la lettura dell’articolo e mi assale un moto di riconoscenza verso il procuratore Francesco Greco per questa sua dichiarazione: “Non è un approccio morale al tema ma giuridico, che è necessario. Non è più il tempo di dire ‘sono schiavi’, è il tempo di dire che sono cittadini che hanno bisogno di una tutela giuridica”.
Peccato solo che poi, nelle semplificazioni giornalistiche, di quella dichiarazione sia rimasto solo l’assunto “i rider non sono schiavi” (come fosse una rivendicazione) o “i rider sono schiavi” (come fosse una denuncia). Così si travisa superficialmente il senso più profondo di quella frase. Ci si concentra sulla parola “schiavi” e non sulla parola “cittadini”. Greco sta affermando che la questione morale è da considerarsi superata. Non serve più dire che “i rider non sono schiavi”, come fosse necessario legiferare affinché i rider smettano realmente di essere schiavi e diventino titolari di diritti.
Le leggi già esistono, migliorabili, certo, ma esistono: il dl 81/2015 già citato, rafforzato poi nel 2019 dalla legge 128. Quindi la questione è giuridica, e l’invito è proprio quello di riconoscere che i rider già oggi sono cittadini titolari di diritti e, proprio in quanto tali e data la situazione attuale di abuso nei loro confronti, hanno bisogno di essere tutelati affinché tali diritti siano realmente esercitabili. Proprio come ha fatto la procura di Milano, a cui non posso che esprimere la mia più profonda gratitudine. Come la esprimo a chi, fin dal principio, ha lottato e continua a farlo in ogni modo e in ogni sede, dalle piazze ai tribunali, con la stampa e le istituzioni fino ai tavoli negoziali, affinché la violazione di questi diritti emerga e sia finalmente sanata. l