La drammatica situazione sanitaria, economica e sociale che vive il Paese sta incidendo fortemente sulla situazione di grave disagio abitativo che già da tempo pesa sulle famiglie toscane. Come dimostrano le crescenti procedure nei tribunali di questi ultimi mesi, aumenta a dismisura il numero degli sfratti per morosità incolpevole, per le difficoltà di tanti inquilini a corrispondere il canone di locazione.
Il disagio abitativo in Toscana si attesta su un numero altissimo: più di 80mila famiglie soffrono le problematiche legate alla casa. Gli affitti, e i costi dell’abitare in generale, sono diventati lo scoglio più difficile da sorpassare per le persone strozzate dalla precarietà abitativa. Oltre a questo incombe il rischio dello scadere al 31 marzo del blocco degli sfratti e dei licenziamenti.
Il Parlamento lavora per la conversione in legge del Dl 183/2021 nel cui testo, opportunamente, il precedente governo Conte aveva inserito una sospensione degli sfratti per morosità ad uso abitativo e diverso e delle procedure immobiliari sino al 30 giugno. Di fronte a prese di posizione durissime contro questa norma da parte di chi vorrebbe una immediata ripresa delle esecuzioni degli sfratti, i gruppi parlamentari confermino tale norma che, se cancellata, determinerebbe una situazione insostenibile per le nostre città, colpite - oltre che dagli effetti molteplici e le restrizioni della pandemia - dal dilagare di un crescente numero di famiglie che rischiano di essere messe “in mezzo alla strada”, senza una alternativa alloggiativa.
Nel periodo di sospensione degli sfratti si lavori intorno a un progetto che scongiuri il rischio di nuove proroghe e fornisca ristori, esenzioni e agevolazioni fiscali alla proprietà che subisce l’ulteriore ritardo nel rilascio dell’immobile.
Al tempo stesso abbiamo chiesto alla Regione Toscana l’apertura di un Tavolo per il disagio abitativo, che coinvolga prefetti, sindaci e assessori delle aree ad alta tensione abitativa e le organizzazioni sindacali. La motivazione è legata alla necessità di trovarsi preparati alla riapertura delle esecuzioni con forza pubblica a partire dal 1° luglio, e per avere una omogeneità di procedure nei vari territori. La richiesta ai Comuni è quella di attivare prima possibile le Commissioni per il passaggio da casa a casa, previste dalla legge regionale 2/2019, che offrono l’unica modalità operativa per governare e graduare le esecuzioni con forze pubbliche, senza creare tensioni sociali.
Sono misure di giustizia sociale quelle che chiediamo, ma sono anche strumento per una diversa politica economica e sociale. È infatti il mattone che la fa da padrone nell’alimentare la rendita. Se queste dinamiche e processi valgono per il Paese, ancor più e specificatamente agiscono in Toscana. Una realtà che vede una sostanziale continuità nei possessori dei grandi patrimoni terrieri e soprattutto immobiliari, addirittura con le famiglie censite nel Catasto fiorentino istituito nel lontano 1427.
Oggi, a fronte delle misure impositive progressive e valevoli anche per i beni posseduti al di fuori del territorio della Repubblica fiorentina che furono deliberate oltre mezzo millennio fa, si griderebbe da parte dei nostrani rentier allo Stato di polizia e all’esproprio proletario, tant’è. Se la media nazionale della rendita che distrugge il lavoro, sia quello vivo che il profitto derivante da attività manifatturiere, è il 50%, a quanto assomma in Toscana? Rendita immobiliare e sviluppo manifatturiero di qualità non vanno di pari passo, anzi. La remunerazione della rendita distoglie capitali dagli investimenti produttivi, e contribuisce oggettivamente alla desertificazione industriale.
Per fare politiche industriali che non siano dichiarazioni volontaristiche, o mozioni degli affetti, bisogna colpire la rendita. Con la tassazione patrimoniale a livello nazionale e del sistema delle autonomie locali, come fece la Repubblica fiorentina nel Quattrocento, con il rilancio dell’edilizia residenziale pubblica, come strumento sia di giustizia sociale che di abbassamento dei canoni di affitto.
Agli antichi e ricorrenti proprietari della Toscana, di gran parte delle aree di pregio, si uniscono fondi di investimento internazionali. Le città si svuotano di chi vive del proprio lavoro, gli stessi studenti fuori sede subiscono un processo di allontanamento, salvo i ricchi rampolli della borghesia internazionale. Chi vota per eleggere l’amministrazione cittadina non vi risiede pur avendo la residenza, e se vi risiede è parte ed espressione del blocco di potere della rendita. L’amministrazione ritorna al notabilato nobiliare di primo Novecento, al voto per censo e per nascita.
Nelle città dove domina la rendita l’amministrazione funziona e viene eletta come un consiglio d’amministrazione. E per di più abbiamo enti territoriali di rilevanza costituzionale come Province e Città Metropolitane che sono sottratte al voto diretto di residenti-elettori. È la frattura tra economia e democrazia, è il capitalismo postdemocratico della governance.