Il 9 dicembre si è svolto lo sciopero nazionale dei dipendenti pubblici in un clima ostile nei loro confronti. L’eco del dissenso suona più o meno così: “Capiamo le ragioni dello sciopero ma giudichiamo inopportuno il momento”. Sul punto ricordiamo che il precedente rinnovo del contratto nazionale, nel 2018, aveva portato, dopo ben 9 anni di lotte, ad un aumento di soli 85 euro lordi. Contratto rinnovato grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco dei rinnovi ma ha escluso il recupero del periodo pregresso. Quindi nove anni di perdita di potere d’acquisto.
Il contratto è scaduto nel dicembre 2018, le risorse economiche per il rinnovo 2019-21, che si devono reperire nelle leggi finanziarie annuali, sono insufficienti. Chi parla di 107 euro medie deve specificare che nella cifra rientrano anche i dirigenti. Se le risorse rimanessero quelle, per alcune categorie del comparto non dirigenziale si tradurrebbero in circa 40 euro lordi al mese.
Lo sciopero c’è stato perché dal governo non è arrivata alcuna risposta dopo la proclamazione dello stato di agitazione. Di norma si viene convocati per tentare un accordo, invece silenzio assoluto. Inoltre siamo all’ultima occasione per ottenere risorse aggiuntive con la legge finanziaria del triennio. Il prossimo anno si discuteranno le risorse del triennio successivo. E questo sarà chiuso definitivamente.
Stiamo parlando di 3 milioni e 200mila dipendenti che percepiscono poco più di 1.200 euro al mese. È una situazione che va urgentemente sanata. In questi mesi, per il rinnovo dei Ccnl, visto l’atteggiamento refrattario di Confindustria, hanno scioperato praticamente i lavoratori di tutte le categorie. Non si capisce perché questo diritto dovrebbe venir negato ai dipendenti pubblici.
Al centro dello sciopero c’è la cronica e insostenibile carenza di personale. Dietro espressioni come “razionalizzazione del personale” e “tagli della spesa pubblica” si è celato il taglio sistematico di migliaia di dipendenti con inevitabili conseguenze sulla qualità dei servizi. In tutte le strutture pubbliche vi è carenza: negli ospedali, nelle scuole, nelle questure e prefetture, negli uffici degli enti e delle agenzie pubbliche. Per decenni si è imposto il blocco delle assunzioni e la non sostituzione del personale andato in pensione, il risultato è che l’età media dei dipendenti pubblici è di 55 anni, tra le più alte d’Europa.
In un paese normale non si mettono in contrapposizione dipendenti pubblici e privati. Non si può speculare sulle reali difficoltà del mondo del lavoro privato per attaccare lavoratrici e lavoratori dei servizi pubblici. Togliere diritti ai dipendenti pubblici non risolve il problema dei precari, dei lavoratori in cassa integrazione e nemmeno del lavoro autonomo. È necessario dare a tutti gli stessi diritti e le stesse tutele. Perché la Legge di iniziativa popolare promossa dalla Cgil con la raccolta di 3 milioni di firme giace ancora in Parlamento? La Carta dei diritti universali delle lavoratrici e dei lavoratori ha come obiettivo proprio la parificazione e maggiori tutele per i lavori poveri. Per lo stesso lavoro stessi diritti, stesso salario.
La sicurezza dei lavoratori pubblici è un’altra ragione dello sciopero. È sotto gli occhi di tutti l’enorme tributo pagato sul fronte dei contagi e delle vittime al Covid. Non solo tra il personale sanitario degli ospedali o delle case di riposo. Anche tra gli insegnanti, tra le forze dell’ordine, tra gli impiegati degli uffici territoriali e ministeriali si conta un numero altissimo di contagiati. I lavoratori non sono stati sufficientemente protetti. Ma se la macchina Stato ha retto l’urto della prima ondata di questa pandemia lo dobbiamo proprio ai dipendenti pubblici. Non sono eroi, sono persone che lavorano, ed hanno la pretesa di farlo senza ammalarsi o morire.
Era inopportuno scioperare in questo momento? Ma quando è opportuno uno sciopero e quando no? La pandemia pone problemi enormi per il Paese e le persone. Richiede la capacità di pensare e progettare un futuro migliore in cui il disastro di oggi sia irripetibile. Assunzioni e stabilizzazioni, e ammodernamento e riqualificazione della PA, sono condizioni fondamentali per la ripresa dopo la crisi economica degli anni scorsi e quella causata dall’emergenza sanitaria di oggi. La stessa presidente della Commissione europea ha ricordato che le risorse messe a disposizione dell’Italia per il rilancio dovranno saper investire per migliorare tutta la PA. Il contratto di lavoro non è solo soldi. Avere un contratto è una questione di dignità e di diritti!
Il virus ha svelato le nostre fragilità, eppure c’è ancora chi si ostina a non voler vedere il “re nudo”: sono giunti al pettine i nodi di anni di scelte sbagliate, che hanno portato solo disagi ai cittadini e prodotto un clima di masochistica ostilità nei confronti dei dipendenti pubblici. Non capire le ragioni di quanti il 9 dicembre hanno scioperato significa aver concesso al virus anche l’ultima parola sui diritti dei lavoratori.