Finalmente cancellata con un referendum popolare la Costituzione del sanguinario dittatore Pinochet.
Ci sono voluti quasi cinquant’anni, insomma mezzo secolo, per liberasi della Costituzione della dittatura. Stiamo parlando del Cile che il 25 ottobre scorso ha cancellato con un referendum la massima legge del Paese, che il dittatore Augusto Pinochet promulgò sette anni dopo il colpo di Stato dell’11 settembre del 1973 che destituì il governo democratico del Presidente Salvador Allende, vincitore insieme alla sua coalizione delle elezioni del 1970. Golpe che produsse, tra assassinati, torturati, scomparsi e rifugiati politici, migliaia di vittime, e che realizzò sette anni dopo una Carta costituzionale a suo uso e costume.
L’esito della consultazione era scontato, la vittoria di “Approvo”, così si chiama la coalizione del Sì, è stata straordinaria e al di là di ogni più rosea previsione: 78,20% dei Sì contro il 21,80% dei No. Una volta arrivato il risultato del voto, che chiedeva agli elettori e alle elettrici se volevano una nuova Costituzione e quali persone avrebbero dovuto redigerla, le piazze di Santiago e delle altre città del Paese andino si sono riempite di gente in festa, che cantavano “El pueblo unido jamas sera vencido”.
Ora il prossimo e difficile appuntamento è quello dell’11 aprile del 2021, quando sarà formata una Assemblea composta da rappresentanti della società civile, contrariamente a quello che avrebbe voluto la destra propensa a infilare dei politici, con il fine di scrivere entro un anno la nuova Costituzione. La cui struttura dovrà garantire la democrazia del Paese per altri cinquant’anni, e che sarà o meno confermata da un altro referendum previsto all’inizio del 2022.
E’ importante ricordare che la prima tappa verso la democrazia va fatta risalire al 5 ottobre del 1988 quando il 55,99% della popolazione disse No ad altri otto anni di presidenza del capo della giunta militare, dando il via ad una lenta e mai terminata opera di smantellamento della struttura economica e sociale liberista ispirata alla scuola dei “Chicago Boys”, capeggiata da Milton Friedman. Una filosofia all’interno della quale sanità e istruzione erano garantite solo ai ricchi che erano in grado di pagare, mentre i diritti dei lavoratori venivano cancellati a favore delle imprese. E questo malgrado una crescita economica senza pari nel continente.
Questo faticoso tentativo di modificare la Costituzione è stato reso ancora più difficile dall’arrivo al Palacio della Moneda di Sebastián Piñera, già ministro durante la giunta militare, il quale non ha esitato ad accogliere altri ministri legati all’inquietante passato. Ma questa volta la misura è stata colma. Il 18 ottobre del 2019 esplodeva la rabbia popolare, in un primo momento per l’aumento del prezzo dei mezzi di trasporto. Poi la protesta si è fatta più forte e determinante nella storia del Paese. Quei ragazzi e quelle ragazze, quei giovani e meno giovani, più o meno organizzati, hanno protestato pacificamente o con una legittima violenza contro uno status quo non più tollerabile. La repressione è stata durissima: 18 morti, l’arresto di 2.600 persone, 548 feriti dei quali 248 colpiti da armi da fuoco. Malgrado ciò il governo è stato costretto ad accettare l’idea del referendum costituzionale.
Altri governi di centrosinistra avevano tentato di intraprendere questo percorso ma senza esito, ostacolati per un lungo periodo da un Parlamento sotto osservazione, dove alcuni membri erano direttamente eletti dai militari. Secondo il Presidente della Repubblica, dopo il referendum “ha prevalso l’unità sulla divisione, la pace sopra la violenza. E’ un trionfo di tutti i cileni. E’ l’inizio di un cammino che tutti insieme dobbiamo intraprendere”.
Si tratta senza dubbio di un evento storico, che dovrebbe mettere fine ad una contesto istituzionale ed economico che ha bloccato per lunghi decenni l’evoluzione democratica del Paese andino, a partire da quel tragico 11 settembre del 1973.