Un’enciclica che vuole essere “la voce di chi non ha voce” - di Vittorio Bellavite

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L’enciclica “Fratelli tutti”, nelle sue linee generali, riprende ampiamente il messaggio culturale e sociopolitico di papa Francesco, lo sistematizza e lo arricchisce. In particolare riprende ampiamente il documento di Abu Dhabi del febbraio del 2019 “sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, firmato dal papa con il Grande Imam Abu Al-Tayyeb dell’Università Al-Azhar del Cairo.

La prima parte descrive la situazione del mondo constatandone il forte peggioramento. L’enciclica passa poi ad un approfondimento del racconto evangelico del buon Samaritano, che viene assunto come modello generale per nuovi rapporti tra gli uomini. Il testo è particolarmente efficace nel descrivere i quattro soggetti presenti nella parabola, assunti a tipologie di comportamenti diffusi.

Partendo da qui si sviluppano le linee portanti dei principali messaggi di Francesco. Essi riguardano: gli “ultimi”, i migranti, il potere economico che domina la politica, gli individualismi generalizzati che chiudono le comunità e le società in sé stesse, la proprietà privata che dovrebbe essere diritto secondario rispetto ai beni comuni e al bene comune, i nazionalismi fondati sulla xenofobia, e via di questo passo.

L’enciclica continua su come siano da gestire correttamente i valori di ogni popolo, mantenendo le radici storiche, culturali, linguistiche, ma dialogando con ogni altro Paese per capire, accettare e stabilire rapporti positivi, a partire dal fatto che ogni popolo deve sentirsi parte della famiglia umana. L’accoglienza e l’integrazione dei migranti sono la base per una nuova politica che esiga però programmi globali internazionali. Il “locale” deve avere l’orizzonte del “globale”. Il testo esamina poi in modo critico il populismo e le forme liberali di gestione del potere, e descrive gli aspetti positivi del concetto di “popolo”.

Il discorso continua su un versante più direttamente politico. La crisi del 2008 è stata un’occasione persa, gli Stati nazionali perdono potere e domina la finanza. Soprattutto è necessaria la riforma dell’Onu, il rilancio dei rapporti internazionali e del multilateralismo che è in grave crisi, dopo una fase in cui forme importanti di aggregazione si erano sviluppate, per esempio in Europa e in America Latina. In questa situazione papa Francesco richiama il ruolo dei movimenti popolari, e sottolinea molto l’importanza delle organizzazioni della società civile che si impegnano per la tutela dei diritti umani e per il bene comune.

Per completare il quadro l’enciclica parla del perdono e del suo rapporto con la giustizia e poi della memoria. Non si costruisce per il futuro se non si hanno sempre a mente la Shoah ed Hiroshima e Nagasaki. Il papa riprende quanto già detto molte volte sulla ripresa della corsa al riarmo, in particolare per quanto riguarda le armi nucleari, e constata che negli ultimi decenni si è optato “per la guerra avanzando ogni tipo di scuse apparentemente umanitarie, difensive o preventive, ricorrendo anche alla manipolazione dell’informazione”. Di conseguenza la Chiesa ritiene superata la dottrina della guerra giusta in certe circostanze, e rilancia la proposta della “Populorum Progressio” per un Fondo mondiale finanziato dalla riduzione delle spese militari, per eliminare la fame e per lo sviluppo dei paesi poveri. Ugualmente la Chiesa ha definitivamente preso posizione contro la pena di morte in qualsiasi circostanza, facendo così una evidente autocritica rispetto alla sua posizione precedente.

L’enciclica si conclude sul dialogo tra le religioni e sull’identità cristiana. La Chiesa, che auspica la convergenza del mondo cristiano e di tutte le religioni su queste grandi questioni, rivendica l’autonomia della politica ma “non può e non deve neanche restare ai margini nella costruzione di un mondo migliore”, né trascurare di “risvegliare le forze spirituali che possano fecondare tutta la vita sociale”.

Mi pare che “Fratelli tutti” esprima il filone migliore e più universale del pontificato di Francesco. L’enciclica è “la voce di chi non ha voce”, e sfugge anche a un certo dottrinarismo delle precedenti encicliche sociali perché “morde” nella storia. Infatti, nel suo lungo ragionare, si leggono sottotraccia tutte le situazioni di sofferenza esistenti e le potenzialità pure presenti nella Chiesa. Ognuno le può facilmente vedere.

L’enciclica fa un appello universale al mondo intero perché il suo messaggio non sia ininfluente. Ma essa interessa soprattutto i cattolici, perché si impegnino a cercare di fare seguire alle parole i fatti, dando testimonianza dell’Evangelo, maggiore credibilità alla loro Chiesa e così un forte contributo alla sua vera riforma e alla sua conversione, che consiste nel seguire l’esempio del Samaritano.

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