Occupiamo le Case con la Salute! - di Patrizia Fistesmaire e Giovanna Lo Zopone

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Da una ricerca promossa dalla Fp Cgil nazionale le Case della Salute si rivelano un modello ancora incompiuto. 

Dall’ultima ricerca svolta dalla Fp Cgil emerge chiaramente come le Case della Salute siano rimaste un modello incompiuto: delle ‘Case vuote’, non Case della Salute che garantiscono apertura e assistenza h24, rappresentando un luogo alternativo all’ospedale e innovativo nell’offerta dei servizi.

Le logiche di offerta sembrano essere quelle ‘classiche’, e il principio fondante dell’integrazione tra sociale e sanitario pare ancora lontano dalla realizzazione. Permangono offerte di servizi che ripropongono logiche di assistenza e non di percorso, orientate alla programmazione e all’erogazione specialistica, che niente hanno a vedere con l’idea di una prevenzione e di presa in carico. E questo poiché trascurano i punti centrali della salute: ovvero l’individuazione dei bisogni emergenti e la partecipazione attiva delle persone ai processi di cura.

L’indagine è stata condotta su 121 Case della Salute localizzate in dieci diverse regioni, e dall’analisi degli indicatori organizzativi è chiara la forte disomogeneità a livello nazionale e anche negli stessi territori, dove l’equità di accesso risente dell’investimento sullo sviluppo di tale modello.

Manca la possibilità di accesso in orari di ampia copertura, una diffusa presenza di ambulatori infermieristici e di medicina generale, la effettiva integrazione in percorsi socio-clinico-assistenziali dove la persona sta al centro, e questo anche perché in diverse strutture gli orari di apertura sono limitati, così come spesso lo è anche il personale presente.

Fin dalla conferenza di Alma Ata, passando dalla legge 833 del 1978, dai decreti degli anni ‘90 e i successivi Piani sanitari nazionali, la funzione del Distretto è quella del “luogo naturale per realizzare un elevato livello di integrazione tra i diversi servizi che erogano le prestazioni sanitarie e tra questi e i servizi socio-assistenziali”. Nel 2016 dopo molte riflessioni sviluppate, anche grazie al contributo sindacale, nasce la sfida delle ‘Case della Salute’ come luogo di riferimento e di confidenza per i cittadini. I pilastri costituenti sono legati alla ‘capacità di iniziativa’, dove la salute si esprime in una sanità attiva. Le fondamenta delle Case della Salute sono sostanzialmente queste: l’immediatezza dell’individuazione come punto unico, la facilità di accesso, la capacità di accoglienza, la risposta ai bisogni di base, la presa in carico proattiva e precoce, l’integrazione socio-sanitaria, e la garanzia di un’assistenza primaria universale.

Ma oggi le Case delle Salute sono quindi ‘Case vuote’. Ecco perché la nostra azione deve essere e sarà orientata ad ‘occuparle di salute’, uscendo da una logica di distanza tra chi riceve ed eroga, come conseguenza degenere del modello di aziendalizzazione che monetizza la salute intesa come cura della malattia, e non come stato di benessere biologico psicologico e sociale.

In un’ottica di salute collettiva, la prevenzione e la promozione della salute diventano le fondamenta del Ssn, e l’emergenza Covid-19 ci ha offerto l’opportunità di rivedere i modelli sanitari includendo anche le dimensioni sociali, poiché solo nel rispetto delle componenti essenziali della vita si possono impostare modelli efficaci di cura, sia per il singolo che per le comunità.

Cuba ne è un esempio. È stato grazie a modelli di ‘Case della Salute di quartiere’ che si sono potuti intercettare i fattori contribuenti e mitigare gli effetti della pandemia. Grazie a squadre operative di ‘assistenza di quartiere’, composte da medici, infermieri, assistenti sociali, psicologi e altre figure a seconda delle necessità, sono state mappate le situazioni cliniche della popolazione, per valutare eventuali comorbidità e monitorare le condizioni di salute. Al contempo si è intervenuti con campagne di prevenzione socio-sanitarie, attraverso sia le medicine complementari che lo sviluppo di strategie di fronteggiamento. La coerenza cognitiva è stato l’obiettivo della comunicazione e dell’azione istituzionale, tesa a promuovere una vera cultura della consapevolezza, unica strada per mitigare le derive dell’allarme o del negazionismo.

L’investimento su un nuovo modo di intendere la salute deve diventare patrimonio delle persone, e la programmazione dei modelli e degli interventi scendere nei territori, nelle piazze e tra i lavoratori. Solo in questo modo, includendo le componenti sociali con quelle sanitarie, si può scommettere sulla salute pubblica, collettiva e universalistica.

Le Case della Salute devono aprire le porte e riempirsi di contenuti.

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