Giorgio Nebbia, La terra brucia, Jaca Book, pagine 170, euro 22
Nel 2016 le edizioni Gruppo Abele, in occasione del novantesimo compleanno di Giorgio Nebbia, con il libro-intervista “Non superare la soglia” avevano raccolto, grazie a Walter Giuliano, la testimonianza di uno dei padri dell’ambientalismo italiano, fra i promotori delle più rilevanti associazioni ambientaliste del nostro paese (Wwf, Italia Nostra, Lega Ambiente) oltre che parlamentare per un decennio tra Camera e Senato. Ora, ad un anno dalla morte, è stato pubblicato il libro “La Terra brucia”, che raccoglie una serie di suoi profetici scritti, apparsi prevalentemente sulla rivista digitale Altronovecento, edita dalla Fondazione Luigi Micheletti di Brescia, ove a partire dal 2001 è stato depositato il Fondo Giorgio e Gabriella Nebbia, che in cinquanta faldoni riunisce la documentazione di oltre settant’anni di attività e più di cinquemila volumi.
Il libro, come segnala il sociologo Lelio Demichelis nella postfazione, è stato pensato come un vademecum per i giovani che hanno animato anche nel nostro paese le manifestazioni contro i cambiamenti climatici, riattualizzando il dibattito che si era sviluppato negli anni ‘70 attorno all’incompatibilità fra il modello della crescita capitalistica e le risorse finite del pianeta.
Fu Rachel Carson, infatti, a verificare le alterazioni dei cicli biologici provocati dalla diffusione del Ddt, e successivamente nel 1962 con il libro “Primavera silenziosa” a denunciare le gravi conseguenze derivanti dall’utilizzo dei pesticidi clorurati e simili. La reazione dei negazionisti di quell’epoca non si fece attendere: poiché l’industria chimica non tollerava di veder compromesse le sue produzioni e i suoi lauti profitti, la Carson, che morì di tumore nel 1964, fu accusata di essere addirittura un’agente “comunista”.
Nel frattempo il grande matematico rumeno Nicholas Georgescu-Roegen, individuando nel secondo principio della termodinamica quella legge dell’entropia per cui qualunque processo produttivo ed economico deve fare i conti con la degradazione della materia e dell’energia, sviluppò la tesi che un orizzonte per la sopravvivenza della civiltà può essere rintracciato solo nella prospettiva di una società bioeconomica, non certo affidandosi ciecamente all’idolatria del mercato.
Al contempo nel nostro paese nel 1972 furono pubblicati sia “I Limiti dello Sviluppo”, per iniziativa del Club di Roma guidato dall’illuminato economista Aurelio Peccei, che il folgorante “L’Imbroglio Ecologico” di Dario Paccino. Per Paccino la questione ecologica doveva essere affrontata in un’ottica marxista e materialista, in quanto non ci si poteva accontentare della scoperta dell’acqua calda dei limiti dello sviluppo. Quindi, da un lato scaturiva l’esigenza di comprendere lo scarto abissale che intercorre tra la storia della natura e la storia dell’uomo; dall’altro, cosciente della distruttività intrinseca al modo di produzione capitalistico, Paccino insisteva sul legame ineludibile tra battaglia ecologica e lotta di classe.
Non è un caso che, a cura di Luigi Piccioni dell’Università della Calabria, sia stato ricostruito il carteggio intercorso tra Nebbia e Paccino negli anni 1971-72. Carteggio che permette di cogliere l’effervescenza culturale di quei tempi, la differenza di fondo tra ecologismo anticapitalista, radicale e moderato, nonché le ragioni per cui il rapporto tra uomo e natura si è ancor più lacerato e degradato rispetto ad allora.
Quando si pensa che “L’Imbroglio Ecologico” fu tra i cinque libri di saggistica più letti in quel frangente storico, tanto che Einaudi ne stampò subito 22mila copie, abbiamo un’idea di quale regressione culturale e politica sia intervenuta in questi decenni, a fronte della scomparsa di quella che una volta si chiamava sinistra.
Luigi Piccioni è anche l’autore, nell’introduzione, del profilo biografico di Nebbia, che da professore di Merceologia all’Università di Bari ha tra l’altro firmato 1.200 articoli nella collaborazione avviata nel 1961 con “La Gazzetta del Mezzogiorno”, mentre era tra i protagonisti dei principali conflitti ambientali e territoriali che si sono sviluppati in questi ultimi decenni in tutta la penisola (dall’Acna di Cengio alla Farmoplant di Massa e Carrara, dalla Caffaro di Brescia all’industria chimica di Manfredonia, simile alla Icmesa di Seveso).
Infine, un ricco capitolo del libro è dedicato ai ritratti di una serie di persone che hanno contribuito alla crescita del pensiero ecologico, da Antonio Cederna sino a Lewis Mumford. Tra questi emerge la figura di Friedrich Engels, che nelle pagine della “Dialettica della natura” sottolinea come “è il lavoro che opera la differenza tra l’uomo e gli altri animali. Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria”. Un monito più che attuale!