Fondamentalmente Donatella Tesei, la governatrice leghista dell’Umbria, va “ringraziata”. Infatti la sua scelta di cancellare una delibera della vecchia giunta Marini (arrivata peraltro dopo anni di attesa) che consentiva il ricorso alla Interruzione volontaria di gravidanza farmacologica – con la pillola RU486 – in regime di day hospital, ha avuto un effetto decisamente dirompente. La decisione di imporre alle donne tre giorni di ricovero per poter utilizzare la RU è stata accolta con entusiasmo da gruppi ed esponenti politici dichiaratamente contro l’aborto, in testa il senatore leghista Simone Pillon. Ma ha al tempo stesso provocato una reazione potente e senza precedenti – almeno nei tempi più recenti - di movimenti femministi e associazioni per i diritti delle donne, che in poco tempo si sono riuniti creando la ‘RU2020’ - Rete umbra per l’autodeterminazione.
La prima uscita della nuova rete, il 21 giugno a Perugia, sotto lo slogan “libera di scegliere, questa è la mia vita, la RU la voglio garantita”, è stata un trionfo: una piazza IV Novembre stracolma di donne, molte giovanissime, e uomini, che hanno mandato – nonostante la pioggia - un messaggio forte e chiaro alla giunta Tesei, ma anche al governo e all’Aifa (Agenzia italiana del farmaco).
La delibera della Regione Umbria fa infatti riferimento alle indicazioni emanate dal ministero della Salute nel 2010, che prevedono la somministrazione della pillola abortiva entro la settima settimana di gravidanza, con un ricovero ospedaliero di tre giorni, a differenza dell’aborto chirurgico che si risolve in una giornata. La presidente Tesei ha sostenuto che la delibera ha lo scopo di tutelare la salute delle donne, ma la ‘RU2020’ ha prontamente risposto che le donne non necessitano di “tutela”, ma di avere garantiti i diritti previsti dalla legge, senza ostacoli posti ad arte lungo il loro percorso. Ancora oggi, in Umbria, solo tre ospedali su undici fanno ricorso all’aborto farmacologico.
Le donne che sono scese in piazza a Perugia il 21 giugno non hanno solo rivendicato il diritto all’Ivg farmacologica fino alla nona settimana e senza ricovero, ma hanno chiesto anche la piena applicazione della legge 194, contraccezione gratuita e potenziamento dei consultori. Secondo l’ultima relazione del ministero della Salute sulla legge 194, infatti, risulta obiettore di coscienza il 69% dei ginecologi, il 46,3% degli anestesisti, e il 42,2% del personale non medico. Le donne che vivono in aree dove le percentuali sono più alte sono costrette a spostarsi per accedere al servizio, specialmente per l’aborto oltre il primo trimestre.
Dalla piazza di Perugia dunque la mobilitazione delle donne – partita “grazie” alla delibera della giunta Tesei – si è allargata a livello nazionale. Il 2 luglio la rete ‘RU2020’, insieme all’associazione Rete italiana contraccezione e aborto Pro-Choice e a molte altre realtà, ha manifestato a Roma, sotto la sede del ministero della Salute, consegnando dalle mani di una giovane studentessa di Terni circa 80mila firme che chiedono l’Ivg farmacologica in day hospital in tutta Italia fino alla nona settimana, e risposte su contraccezione gratuita e rafforzamento dei servizi consultoriali. Intanto, dopo la richiesta di parere del Consiglio superiore di Sanità da parte del ministro Speranza, si attende l’aggiornamento delle linee guida, vecchie di ormai dieci anni.
Insomma le donne della ‘RU2020’, e tutte le donne che hanno a cuore la propria autodeterminazione, devono in un certo senso “ringraziare” la presidente Donatella Tesei, per aver permesso loro di riportare all’attenzione nazionale i diritti delle donne e la loro libertà di scelta. La decisione del governo leghista umbro è infatti una scelta politica, e politica deve essere la risposta. È tempo che le istituzioni di questo Paese, governo in primis, ci facciano uscire dall’arretratezza in cui siamo da troppo tempo confinate, e prendano provvedimenti nel rispetto dei diritti sessuali e riproduttivi, che sono diritti umani.