C’è grande sgomento in questi giorni tra gli iscritti della Cgil di Catania, per quanto emerso dalle indagini dell’operazione antimafia “Malupassu”, che vede coinvolti in un probabile scambio di voti Gianni De Caudo, delegato della Fp Cgil nella Rsu di un’azienda che si occupa di igiene ambientale (la Dusty), e un iscritto alla Cgil, Fabio Agatino Frisina, dipendente della stessa azienda e affiliato al clan mafioso Ercolano-Santapaola, che nel territorio di Mascalucia, un comune alle pendici dell’Etna, era impegnato, stando alle intercettazioni della procura etnea, nella raccolta di voti a favore della candidatura regionale di Angelo Villari, ex segretario generale della Cgil di Catania ed ex assessore al welfare della giunta Bianco a Catania.
Dalle intercettazioni giudiziarie emerge che De Caudo conduce una trattativa garantendo assunzioni e una promozione all’affiliato presso la ditta Mosema, che nel frattempo era stata assorbita dalla Dusty. De Caudo avrebbe garantito che in caso di elezione il Villari si sarebbe impegnato a garantire le assunzioni, e l’avanzamento di carriera di Fabio Agatino Frisina. Le indagini hanno portato a 21 arresti tra cui quello di Frisina, attualmente al 41 Bis. Nelle intercettazioni, De Caudo parla come se la Cgil fosse pienamente coinvolta nel sostegno alla candidatura di Villari.
Purtroppo non è la prima volta che uomini e donne che hanno avuto un ruolo dirigente nella Cgil di Catania vengono citati in indagini su mafia e voto di scambio. Nel 2015, durante il maxi processo “Mafia Capitale”, vengono consegnati i verbali dei quattro interrogatori ai quali i magistrati romani sottopongono Luca Odevaine (identificato come probabile uomo di congiunzione tra gli affari romani e quelli siciliani). Sulla vicenda del Cara di Mineo, Odevaine rivela che “il centro era una centrale del voto di scambio”, e chiama in causa due allora ex dirigenti della Cgil, al momento con ruoli dirigenti nel Pd, entrambi non raggiunti da alcun provvedimento al termine delle indagini.
Alla fine del 2019, un compagno della segretaria della Camera del lavoro di Catania si è dimesso per essere venuto meno il suo rapporto fiduciario con il segretario generale, dopo aver sollevato pubblicamente la questione del sostegno da parte di alcuni dirigenti della Cgil catanese a Michela Giuffrida, europarlamentare uscente ricandidatasi alle ultime elezioni europee. Giuffrida è l’ex direttore del gruppo editoriale Ciancio, che circa una decina di anni fa, su ordine di Mario Ciancio (oggi indagato per associazione esterna con la mafia), si rese protagonista di ben dieci licenziamenti di giornalisti iscritti alla Cgil, che non condividevano la linea editoriale del gruppo. Per assicurare il sostegno elettorale a Giuffrida sarebbe stata utilizzata la sede provinciale dell’Inca, lasciando volantini e facsimili della candidata, e organizzando assemblee e eventi coinvolgendo pezzi del gruppo dirigente.
Nei giorni scorsi la Cgil di Catania ha diffuso una sua dichiarazione su quanto riportato da alcuni media locali. “La Cgil … non può sostenere alcun candidato, né lo farà mai; possono invece farlo le singole persone, a titolo personale…” – si legge nel comunicato. Che prosegue: “In riferimento all’operazione Malupassu, e al coinvolgimento indiretto di Angelo Villari, già segretario generale della Cgil ma non indagato, questa confederazione continua ad avere fiducia nella magistratura, oggi più che mai. Ma respinge ogni eventuale illazione legata alle attività sindacali che sono totalmente estranee a meccanismi di raccolta voti, ed eventuali distorsioni da essi potenzialmente derivanti”.
La lotta alla mafia costituisce patrimonio fondativo della nostra confederazione, sulla quale ogni struttura deve essere al di sopra di ogni sospetto. Al di là della dichiarazione stampa, va fatta al più presto chiarezza, con piena trasparenza e coerenza da parte del gruppo dirigente a tutti i livelli.
La stessa Cgil nazionale deve affrontare la delicata situazione di Catania con decisione, anche dal punto di vista organizzativo, non essendo sufficiente a ripristinare la piena credibilità dell’organizzazione, di fronte alle speculazioni diffamatorie e al disorientamento dell’opinione pubblica, la dovuta sospensione cautelativa dell’arrestato e le dimissioni dalla Rsu del delegato coinvolto. Occorre determinazione politica, e una discussione franca e aperta a tutti i livelli.