Per avere un’idea di cosa sia la nuova legge di bilancio, la ex finanziaria, bisogna innanzitutto considerare la mole dei documenti che la compongono: 3 tomi, 2 allegati, 14 tabelle. Il terzo tomo è lungo 867 pagine; la prima tabella ne occupa 1632. Il numero degli articoli è più modesto, “solo” 119, suddivisi però in migliaia di commi. In sostanza una legge che non si legge.
Il motivo di tanta respingente prolissità è il carattere specifico della manovra di bilancio, costruita attorno due obiettivi, da un lato quello di ottenere il via libera da parte di Bruxelles, obiettivo che per ora pare raggiunto, dall’altro quello di acquietare la crescente conflittualità interna alla maggioranza, obiettivo che invece deve ancora essere messo alla prova dei fatti.
Questi due elementi danno ragione di una costruzione bricolage della ex finanziaria, fatta cioè di una miriade di norme, continuamente limate e modificate nella lunga gestione governativa. La legge era stata approvata, si fa per dire, “salvo intese” il 15 di ottobre per stare a pelo con i limiti temporali previsti dalla sessione di bilancio, ma è approdata al Senato solo il 2 novembre e formalmente annunciata in aula il 5.
Questo ritardo, uno dei record negativi nella storia istituzionale, ha comportato una compressione dei tempi del dibattito parlamentare, fino probabilmente ad annullarlo del tutto. Infatti, malgrado le proteste delle presidenze delle due Camere, ciò che si prevede è che il governo trasformerà il tutto in un mostruoso maxiemendamento, un unico articolo con migliaia di commi, su cui porre la fiducia.
Se così sarà, vorrà dire che la seconda lettura alla Camera sarà solo un passaggio formale, poiché anche lì verrà posta la fiducia, per evitare che eventuali cambiamenti possano imporre un nuovo passaggio all’altro ramo del Parlamento. Così accadrà analogamente al decreto fiscale varato dalla Camera per ciò che riguarda il suo passaggio al Senato.
In sostanza questa ex finanziaria segna la fine della sessione di bilancio, che era stata ideata per dare ampiezza al dibattito sulla legge fondamentale che regola le spese e le entrate nell’anno a venire. Un altro tassello della deparlamentarizzazione del sistema istituzionale italiano.
Dal punto di vista contenutistico le cose andranno esaminate più puntualmente sulla base del probabile maxiemendamento governativo. Il giudizio di insieme riflette il carattere di questa maggioranza sempre più in fibrillazione, ovvero la mancanza di un’anima politica che non sia quella, insufficiente, di evitare il ritorno delle destre estreme al governo. Troppo poco per “tenere” nel tempo e chiudere la legislatura nei suoi tempi, sapendo che prima vi è l’appuntamento cruciale della elezione del nuovo Presidente della Repubblica, decisivo per la salvaguardia della Costituzione e della democrazia nel nostro paese, entrambe abbondantemente minacciate in questi ultimi anni.
La manovra ha evitato l’incremento dell’Iva che avrebbe comportato un aggravio di spesa per chi sta peggio, ma questo ha portato via risorse e spazio per mettere in moto altri progetti che sono essenziali per fronteggiare quella “desertificazione industriale” che i sindacati hanno giustamente denunciato nella manifestazione a Roma del 10 dicembre. Si prevede il taglio del cuneo fiscale per tre miliardi, in misura ridotta quindi per il 2020, ma il come sarà definito in un futuro decreto legge. Mentre per le imprese vengono prorogate le misure di super e iper ammortamento.
Sono previste risorse per asili nido e bonus bebè, graduati per fasce di reddito. Scompare il superticket da 10 euro su analisi e specialistica. La plastic e la sugar tax vengono spostate nel tempo e ridimensionate a seguito della pressione renziana.
Come si vede un coacervo di misure che non affrontano di petto il declino economico e sociale del nostro paese, che richiederebbe una politica organica, centrata su un nuovo ruolo imprenditoriale dello Stato, visto che affidarsi al capitale privato è peggio che un’abdicazione, è un suicidio. L’ex Ilva insegna. Inoltre la discussione sul bilancio si è intrecciata con la cosiddetta riforma del Mes, l’organismo europeo che funge da salva Stati. I contrasti nella maggioranza sono acuti e, mentre scriviamo, non conosciamo il testo della mozione preparata per il dibattito con voto al Senato, tranne che sarà ampia e articolata con la speranza di ottenere modifiche a un testo che però a Bruxelles si ritiene già chiuso e che rappresenta un altro doloroso giro di vite nel sistema di governance europea.