Il Convegno “La vita al lavoro, il senso dei lavori: pensieri e pratiche femministe”, tenutosi dall’11 al 13 ottobre scorsi presso la Casa Internazionale delle Donne a Roma, ha affrontato il tema interpellando studiose e attiviste provenienti dall’Italia e da diversi paesi europei e non.
Tanti i temi affrontati nelle diverse sessioni a partire dalle domande: come si coniugano nel 21° secolo libertà delle donne e lavoro? Come è cambiato il modello europeo di welfare? Quali ricadute avrà sulle condizioni di vita collettiva una organizzazione del lavoro a cavallo tra innovazione tecnologica e sfruttamento neo schiavistico? Come si manifesta una pratica femminista dei “beni comuni”?
La prima sessione riguardava “La vita al lavoro: trasformazioni e politiche regressive”. La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro rivela una profonda frattura del sistema sociale nella produzione, distribuzione delle risorse e nel senso del produrre e riprodurre, così emerge con chiarezza che non è una questione femminile ma generale. La domanda successiva è: è ancora possibile assegnare al tasso di occupazione un valore significativo nei processi di autodeterminazione essendo in atto una riorganizzazione radicale della sfera produzione/riproduzione/consumo?
Il confronto dei dati quantitativi ha messo in luce che, al di là delle differenze emerse, in Europa la tendenza è abbastanza comune: aumento della partecipazione al lavoro delle donne, collocazione della stragrande maggioranza nei livelli medio/bassi e precari, politiche “familistiche” tendenti a riassegnare alle donne la responsabilità sociale del lavoro di cura. Con punte negative nei paesi est europei e anche nel nostro, dove i timidi passi verso una socializzazione del lavoro riproduttivo sono stati bloccati dai tagli progressivi ai servizi pubblici in generale, rendendo visibile la specificità di genere nelle tre dimensioni: lavoro salariato, domestico e di cura e politica fiscale.
Le donne accedono di più al lavoro retribuito ma lavorano di più e sono più povere anche da pensionate. Emerge anche una maggior consapevolezza della necessità di rafforzare, se non costruire, l’alleanza tra mondo sindacale e lotte delle donne: “Per decostruire e combattere le disuguaglianze sul lavoro è di dominio patriarcale che dobbiamo parlare”.
Nella seconda sessione si è affrontato “Il senso del lavoro tra neoschiavismo e innovazione”. Constatato che anche i tagli al welfare sono una costante, per un nuovo sistema europeo di welfare e di diritti è indispensabile superare “l’ideologia della domesticità” e lo sfruttamento della “catena globale della cura” che passa sempre da donna a donna. Emblematica in Italia la regressione nel diritto del lavoro: dallo Statuto dei lavoratori, in pochi anni le lavoratrici e i lavoratori hanno visto trasformarsi il diritto alla tutela uguale per tutti, alla monetizzazione dei diritti.
Questa progressiva riduzione delle garanzie, che sembra più indirizzata a stabilire condizioni di servaggio e non solo di sfruttamento, caratterizza la condizione delle tante donne immigrate. È infatti sulle/sui migranti che si sperimentano le condizioni di precarietà totale che poi si estendono a tutte/i. Asservimento e innovazione sono le due faccie di un unico sistema: il taylorismo 4.0 sta distruggendo diritti e vite: nella produzione industriale e non solo, la velocità diventa unico parametro di riferimento.
Le politiche di austerità, la deregulation e precarizzazione del lavoro, la gentrificazione con l’espulsione della forza lavoro dalle città, aumentando i tempi di trasporto, riducono il tempo per il lavoro di cura. Il dispositivo del lavoro gratuito permea gran parte dell’esperienza lavorativa, sempre più precaria e spalmata su tutto l’arco temporale del giorno e della notte.
La terza sessione ha discusso di “Lotte e alternative”, a partire dall’esempio straordinario, e drammaticamente sotto attacco, dell’autorganizzazione delle donne Kurde. Abbiamo sentito come la lotta per la riconversione dell’industria delle armi Rwm nell’Inglesiente sia riuscita a bloccare la produzione, ma ora sia sotto ricatto per l’occupazione in mancanza di politiche industriali e agricole lungimiranti. Ancora, la lezione di Seattle; la lotta, vincente, contro le discriminazioni nelle mense scolastiche per i figli di immigrati a Lodi; l’esperienza dell’ospedale solidale di Elleniko ad Atene; l’esperienza dell’autoinchiesta sulle molestie nel lavoro attuata da Non Una di Meno a Padova.
Il Convegno ha messo in luce la stretta connessione/conflitto fra produzione e riproduzione sociale, e come la violenza di genere sia paradigma dell’oppressione capitalista sui corpi e le persone, ma anche come sia possibile costruire le condizioni per il cambiamento. Un altro tassello di un lavoro che continua.