Che cosa succederebbe se le principali fra le materie (sanità, sicurezza sul lavoro, beni culturali, infrastrutture, ricerca) previste nel terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione, attualmente materie concorrenti, passassero alle Regioni, come prevedono le bozze di intesa di Veneto, Lombardia ed Emilia? Cosa accadrebbe, inoltre, se quelle previste dal terzo comma dell’articolo 116 (istruzione e ambiente), attualmente a legislazione esclusivamente statale, facessero altrettanto, come ancora quelle intese chiedono, in virtù della riforma del Titolo V del 2001?
È necessario essere chiari: dietro il nome “autonomia differenziata” si nasconde né più né meno la divisione del paese: un diverso accesso e una diversa esigibilità dei diritti universali garantiti a tutte/i le/i cittadine/i ugualmente e su tutto il territorio nazionale. A questa convinzione fa appello il Comitato “Per il ritiro di ogni autonomia differenziata”, formatosi in giugno, quando il governo giallo-verde minacciava la realizzazione di questa interpretazione del dettato costituzionale (punto 20 del “contratto”). Un appello raccolto da 120 associazioni, appartenenti a tutti i settori interessati, che hanno dato vita a due assemblee nazionali (una il 7 luglio, una il 29 settembre); e che ha portato alla creazione di una trentina di comitati territoriali di scopo.
L’autonomia differenziata liquida definitivamente tutto ciò che è “pubblico”, cioè finalizzato all’interesse generale, destinato a diminuire le differenze tra ricchi e poveri: istruzione, sanità, ambiente, infrastrutture. Principi e diritti sociali previsti nella prima parte della Costituzione di fatto vengono annullati. Ogni Regione farebbe da sé, con i propri fondi, trattenendo la maggior parte del proprio gettito fiscale. Ma se questo porterà subito a far sprofondare le Regioni del sud (alienate dalla perequazione e colpite dalla clausola che l’operazione dovrà essere portata avanti “senza oneri aggiuntivi” per lo Stato: a costo zero si abbatteranno uguaglianza, solidarietà, democrazia e l’unità stessa della Repubblica), nondimeno colpirà i cittadini del nord. Negli incontri e nelle assemblee organizzate in questi mesi un dato è infatti emerso in modo chiaro: tutti sarebbero colpiti attraverso la rimessa in causa dei contratti nazionali, dei servizi, dell’accesso agli stessi diritti.
L’assemblea del 29 settembre (che ha visto gli interventi di Villone, Esposito, Giannola ed altri, che hanno contribuito a rendere pubblico il minaccioso percorso, a fronte di una pervicace volontà di nasconderlo da parte dei governi) è caduta a ridosso della ripresa del tavolo sull’autonomia da parte del nuovo governo, che – inserito il tema nel programma - ha incontrato i governatori delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
Ricorre spesso in questi giorni il richiamo ad un’autonomia “solidale”, “ragionevole”, e ai Lep: nei termini individuati dalle bozze di intesa di cui disponiamo, nessuna autonomia può essere concepibile. Nemmeno quella dell’Emilia Romagna che, con le imminenti elezioni, sta per giocarsi una partita particolarmente significativa. Il Titolo V della Costituzione, riformato nel 2001, dispone intrinsecamente la possibilità di differenziare su base regionale i diritti universali delle persone e le caratteristiche dei contratti, non più collettivi e nazionali; tanto basta a far ritenere irricevibili non solo le proposte stesse, ma i tentativi di mediazione che un governo dalla faccia certamente più civile però per il momento sordo alle richieste di chi da mesi si oppone a questo progetto, sta portando avanti.
È stata quindi rilanciata la necessità non solo di annullare un anno di pratiche e incontri segreti e secretati, che nessuna possibilità hanno lasciato ai cittadini di essere informati su quanto si stava decidendo altrove – lontano da loro – sul proprio destino e su ben 23 materie che toccano quotidianamente la loro esistenza. Ma anche una pacata, ragionevole, approfondita discussione sulla riforma del Titolo V.
Ancora oggi tra i più il tema è praticamente sconosciuto. Tocca a noi avere la forza di rompere il muro di gomma dell’inerzia, e di una informazione che seleziona ciò che deve e non deve essere elemento di riflessione consapevole. A questo ed altro fa riferimento il documento condiviso da tutti i partecipanti all’assemblea del 29 settembre, attraverso il quale si chiede anche un incontro alle forze sindacali che in questa difficile partita hanno l’onere e l’onore di rappresentare i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, ma anche di difendere democrazia ed eguaglianza reale, respingendo la rapace volontà di alcuni di fare parte a sé. Una responsabilità immediata, che ha bisogno di parole ed azioni chiarissime, inequivocabili, definitive.
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