Una nuova generazione di giovani, per lo più teenager alle prime esperienze sociali, si sta imponendo sulla scena globale per richiamare tutti i governi e gli organismi internazionali sull’emergenza climatica che stiamo vivendo. Rimproverando al sistema di potere politico ed economico dominante le proprie responsabilità, senza sconti, e inchiodando tutti ad una sorta di obbligo generazionale per quanto non è ancora stato fatto per arrestare la distruzione di acqua-terra-aria. Individuando con chiarezza in questo sistema di sviluppo capitalistico finanziario le gravi colpe per la depauperizzazione del pianeta e per lo sfruttamento insensato delle sue risorse naturali; per il processo degenerativo che si è innescato, irreversibile se non si interviene subito, di ristorare l’enorme impatto antropico che l’uomo produce.
Sono troppe le evidenze scientifiche che lo stanno dimostrando, poche le azioni messe in atto dai vari governi, nonostante i protocolli internazionali e le dichiarazioni di intenti degli ultimi anni. Troppo lenta la capacità di reazione del sistema capitalistico, visti gli interessi in gioco. Ma i giovani vanno avanti con coraggio e senza sosta; guardano al loro futuro, chiamando in causa le responsabilità anche di donne e uomini del mondo del lavoro.
In questo contesto si è inserito lo sciopero globale del 27 settembre scorso, proclamato per il nostro paese anche dalla Federazione lavoratori della conoscenza della Cgil, sulla base di due ragionamenti prevalenti. Uno chiama in causa appunto il mondo del lavoro su un tema delicato com’è quello della salvaguardia ambientale, ma soprattutto di quale modello di sviluppo vogliamo dotarci per dare risposte alle istanze che con urgenza ci stanno ponendo i giovani di #Fridays for future.
Non è un caso se proprio negli stessi giorni dello sciopero globale le confederazioni Cgil, Cisl e Uil si siano dotate di una piattaforma unitaria sullo “sviluppo sostenibile”, preannunciando una svolta green nelle proprie opzioni di carattere economico, e compiendo una scelta decisa a favore dell’economia circolare da parte del sindacato, quindi del mondo del lavoro, inaspettata solo fino a poco tempo fa. Certo questo non basta, ma è un primo importante risultato dell’incipiente emergenza climatica da un lato e della sensibilità che i giovani ci stanno chiedendo, per una battaglia che non potrà certamente essere vinta senza il mondo del lavoro.
Una svolta green verso un’economia circolare è strettamente connessa alla necessità di superare il grave sfruttamento dell’uomo sull’uomo dell’attuale sistema economico, di riconoscere pienezza dei diritti al mondo del lavoro e di contrastare la sua mercificazione. Il lavoro non è una merce, come non lo sono le risorse naturali del pianeta, che sono a disposizione di tutti e lo dovranno essere anche per il futuro, e non possono essere proprietà privata di pochi.
L’altro elemento determinate è quello di ritenere imprescindibile, come anche i giovani ci dicono, il contributo del mondo della conoscenza per un processo di transizione dall’attuale sistema capitalistico finanziario, che sfrutta senza limiti le risorse naturali e immagina una crescita infinita (ancora senza limiti), ad una economia sostenibile. La scienza rappresenta lo strumento principale di studio e di prevenzione su quanto sta accadendo, ma anche di progettazione per la ricerca di nuovi materiali e strumenti ad impatto zero, o di fonti di energia rinnovabili. Mentre senza l’istruzione non possiamo immaginare una transizione verso un nuovo modello di sviluppo senza mettere al centro l’uomo e l’ecosistema in cui esso è immerso, da cui non si può prescindere e che deve per forza essere salvaguardato.
Senza la conoscenza questa transizione è impensabile. Infatti lo striscione della Flc con cui la delegazione nazionale ha preso parte alla manifestazione romana in occasione dello sciopero di venerdì 27 settembre recitava: “L’istruzione e la scienza per una nuova speranza”.
Se non si connette il mondo del lavoro ai giovani di #Fridays for future, la transizione ad una economia sostenibile e circolare non avrà molte chance di realizzarsi. Per questo il prossimo global climate strike dovrà essere proclamato in Italia dalle nostre confederazioni, e in Europa dalla Ces.