Care compagne “Belle Ciao” e cari compagni che non vi riconoscete nella tattica vendicativa della lobby dei padri separati, l’appuntamento di Roma del 28 settembre, per una manifestazione che coinvolgeva i movimenti e le associazioni femministe, la Cgil e la Uil, per chiedere di eliminare dai lavori del Parlamento il Ddl Pillon e collegati, è stato annullato.
Il cambio di governo ha costretto associazioni, centri antiviolenza e attivisti a rinviare temporaneamente il corteo organizzato a Roma, ma la mobilitazione continua e va tenuta alta l’attenzione, perché nel caos generato dalla prima crisi di governo agostana si rischia che i temi legati ai diritti delle donne passino in secondo piano.
Con la fine del governo giallo-verde ci lasciamo alle spalle un esecutivo fra i più misogini e maschilisti che l’Italia abbia mai avuto; che ha accarezzato, oltre all’idea di un arretramento sui diritti, un ritorno alla famiglia come modello autoritario e totalitario fondato sulla sottomissione della donna. Ma occorre restare vigili.
Il governo Conte-bis, insediato il 5 settembre, nonostante le belle parole sulla necessità di avere un governo in cui fosse rispettata la parità di genere in discontinuità col precedente, alla fine ha registrato il minimo sindacale di sette ministre su 21, per non farsi definire, da femministe e femministi, come impresentabile.
Il risultato è che oltre la metà della popolazione italiana non è adeguatamente rappresentata. Questo dimostra che, a differenza di altri paesi europei, in Italia continuiamo ad avere seri problemi sulla rappresentanza di genere. Si sono fatti passi avanti, perché non ci sono più i rappresentanti delle forze politiche che hanno mortificato il ruolo delle donne e cercato di cancellare anni di battaglie femministe per i diritti, e il ministro Fontana, uno dei partecipanti al Congresso mondiale della famiglia di Verona, non ha più la delega alla famiglia, ora accorpata al ministero delle pari opportunità guidato da una donna. Ma notiamo che nessun partito ha fatto uno sforzo per attuare una reale parità di genere nella formazione dell’esecutivo, e nessuna delle ministre ha una relazione forte con le associazioni che lottano ogni giorno per i diritti delle donne.
Sono consapevole che la sola rappresentanza paritaria non basta a migliorare la vita delle donne, ma sarebbe passato il messaggio di un modello in grado di garantire pari diritti ed opportunità. Non possiamo ignorare l’enorme difficoltà delle donne ad accedere a posti apicali in tutti i settori, ma se questo accade anche nelle istituzioni, nella politica, nel sindacato e nelle associazioni, la sconfitta è ancora più pesante, perché proprio dalla politica e dal mondo associativo dovrebbe proporsi un modello sociale diverso.
Dopo questa stagione regressiva, il nuovo governo deve agire affinché il genere, le politiche ed i diritti delle donne non siano considerati di parte, ma necessari per stare meglio tutt*; le proposte di legge (dal Ddl Pillon a quelli Gasparri e Stefani) espressione di politiche arretrate che azzerano anni di conquiste, siano immediatamente ritirate; ci sia un impegno serio nella lotta contro gli stereotipi, le discriminazioni, la violenza degli uomini sulle donne e le molestie sul lavoro, a partire dalla piena applicazione della Convenzione di Istanbul, utile a prevenire violenza e abusi e, soprattutto, a proteggere le vittime e punire i colpevoli.
Spero che il governo non pensi a politiche che ledano i diritti delle donne, faticosamente conquistati in anni di lotte femminili, femministe e sindacali; non faccia politiche con una visione di famiglia in cui la donna sia subalterna all’uomo; non continui ad ignorare la dilagante violenza degli uomini sulle donne, perché non basta il “codice rosso”, servono politiche per cambiare una cultura che legittima la violenza contro le donne, a partire dalla modifica del linguaggio, dal “com’era vestita” al “se l’è cercata”, fino ad augurare lo stupro.
Continueremo a vigilare per proseguire il percorso che iniziarono le donne costituenti, non solo per mantenere i diritti raggiunti, ma anche per conquistarne di nuovi, rilanciando una nuova battaglia culturale e politica, insieme: donne e uomini. L’appuntamento è il 5 ottobre a Roma all’Assemblea nazionale delle donne Cgil, per costruire un paese migliore per tutt*.