Il Tribunale di Milano manda il jobs act alla Corte di giustizia - di Lorenzo Fassina

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Il jobs act di renziana memoria (ma purtroppo ancora di attuale vigenza) continua ad essere oggetto delle attenzioni dei giudici: dopo la Corte Costituzionale, infatti, toccherà alla Corte di giustizia europea valutarne la legittimità. Merito dell’ordinanza del 5 agosto 2019 con cui il Tribunale di Milano, in una causa targata Cgil, ha investito la Corte di giustizia di Lussemburgo.

Una lavoratrice “stabilizzata” da tempo determinato a indeterminato dopo il 7 marzo 2019 con il “contratto a tutele crescenti”, all’esito di una procedura di licenziamento collettivo (dichiarata illegittima per altri colleghi) avrebbe oggi diritto alla sola tutela indennitaria, a differenza dei colleghi beneficiari invece della tutela reintegratoria. Da qui i dubbi di conformità alla normativa comunitaria.

Già la Corte Costituzionale (con la sentenza 194 del 2018) aveva dichiarato l’illegittimità dell’articolo 3 del decreto 23/2015, laddove introduceva un automatismo risarcitorio collegato all’anzianità; ma aveva invece ritenuto non fondata la questione posta sulla disparità di trattamento tra lavoratori (risarcimento-reintegrazione) in base alla data di assunzione con contratto a tutele crescenti (7 marzo 2015).

D’altra parte, la stessa Corte Costituzionale aveva fatto salvo il ricorso al rinvio cosiddetto pregiudiziale per le questioni di interpretazione del diritto dell’Unione, compresi i diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Infatti il Tribunale di Milano affronta il tema della sanzione del licenziamento illegittimo con riguardo ai diritti sanciti dalla Carta e alle direttive sul lavoro a tempo determinato e sui licenziamenti collettivi. In particolare richiama l’articolo 4 della direttiva 99/70/Ce sulla parità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, che prevede i medesimi criteri per la valutazione del periodo di anzianità di servizio, con la conseguenza che dovrebbero applicarsi le medesime tutele. La norma del jobs act che, prevedendo la “nuova assunzione” con contratto a tutele crescenti, esclude il riconoscimento della pregressa anzianità, discrimina i lavoratori a seconda della data della loro assunzione a tempo indeterminato.

In relazione alle norme del diritto comunitario e del diritto internazionale del lavoro che tutelano i lavoratori contro i licenziamenti illegittimi, il giudice milanese richiama l’articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, fonte di diritto dell’Unione, che stabilisce: “Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali”. L’inciso introduce un parametro inderogabile per il legislatore nazionale a tutela di tutte le tipologie di licenziamento. Importante anche l’articolo 10 della convenzione Oil numero 158 del 1982, che riconosce l’annullamento del licenziamento con reintegrazione nel posto di lavoro quale rimedio principale di tutela del lavoratore, mentre i rimedi di “adeguato indennizzo o ogni altra appropriata forma di riparazione” operano in via subordinata, quando l’organo giurisdizionale investito della controversia, sulla base della legge nazionale applicabile, non disponga del potere di annullamento o di reintegrazione.

Altra importante norma richiamata direttamente è l’articolo 24 della Carta sociale europea, che (nell’interpretazione del Comitato europeo dei diritti sociali) conferma che la reintegra nel posto di lavoro è la misura sanzionatoria adeguata ed effettiva, e che ogni alternativa ad essa è adeguata se include una compensazione economica di livello sufficientemente elevato da assicurare la reintegra del danno e dissuadere il datore di lavoro dal reiterare illecito.

E’ da ricordare che la Cgil ha inoltrato al comitato europeo dei diritti sociali un reclamo collettivo proprio per violazione, da parte del jobs act, dell’articolo 24 della Carta sociale europea. E’ probabile, quindi, che anche questo organismo sferrerà nei prossimi mesi un ulteriore colpo al sistema delle “tutele crescenti” previsto dal decreto legislativo 23/2015. Ma speriamo che la politica con la “p” maiuscola intervenga prima a ripristinare i sacrosanti principi della reintegrazione stabiliti dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

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