La Trans Adriatic Pipeline (Tap) è la parte finale del ‘Corridoio Sud’, un gasdotto lungo quasi quattromila chilometri, che parte dal giacimento azero di Shah Deniz. E’ la prosecuzione della South Caucasus Pipeline (Scp), dall’Azerbaigian alla Georgia, e della Trans Anatolian Pipeline (Tanap) che attraversa la Turchia fino al confine greco di Kipoi. Da qui la pipeline si snoderà lungo 878 chilometri, toccherà i 1.800 metri tra i rilievi albanesi e gli 820 metri sotto il livello del mare, per approdare in Salento, a San Foca. Avrà il suo termine a Melendugno, ma il gas continuerà la sua corsa, convogliato per 55 chilometri fino a Brindisi per confluire nella Rete Adriatica Snam. La Rete Adriatica, che dovrebbe raccogliere anche il metano di altri due gasdotti (il Poseidon e l’Eagle Lng Terminal & Pipeline), risalirà la penisola per 687 chilometri fino a Minerbio nel bolognese, e a Sulmona ha già previsto la costruzione di una centrale di compressione del gas. Oltre il nodo di Minerbio, il gas verrà canalizzato verso la Svizzera attraverso Passo Gries, e verso l’Austria passando da Tarvisio. L’azionariato Tap è composto da British Petroleum (20%), l’azera Socar (20%), Snam (20%), la belga Fluxys (19%), la spagnola Enagás (16%) e Axpo (5%).
Da oltre sei anni il progetto Tap è sotto i riflettori locali, nazionali e internazionali. Molti l’hanno definito strategico e “progetto di interesse comune”: rivestirebbe un ruolo di approvvigionamento energetico in alternativa al gas russo. Ma a lavorare sui giacimenti di gas c’è anche il gigante russo Lukoil con il 10%. Il gas trasportato dal Tap proviene dall’Azerbaijan, ma i giacimenti di Shaz Deniz potrebbero non essere sufficienti per i quantitativi previsti. Per questo l’Azerbaijan ha stipulato contratti di fornitura di gas naturale proprio con la Russia. Quindi il paese azero acquisterebbe gas dalla Russia per poi rivenderlo attraverso il Tap. Sempre di gas russo si tratterebbe. Solo nei primi tre mesi del 2018 la società russa Gazprom ha fornito all’Azerbaijan quasi 800 milioni di metri cubi di gas.
Il gas appartiene alla vecchia concezione di approvvigionamento energetico, ampiamente superato da altre soluzioni meno impattanti, e comunque in antitesi con gli accordi sul clima di Parigi. Il consumo di gas in Europa è in netto calo dal 2009, e l’obiettivo dovrebbe essere quello di creare alternative ai combustibili fossili.
Gasdotti e rigassificatori già presenti in Italia immettono nella rete quantità di gas intorno al 47% della loro capacità. L’Italia ha una disponibilità di gas pari a circa 150 miliardi di metri cubi annui. Con l’eventuale ingresso in servizio di Tap, arriveremmo (forse) ad avere la disponibilità di 160 miliardi di metri cubi all’anno, aumentabili fino a 170 miliardi. Un incremento modesto, e per giunta in controtendenza con il calo di consumi, che si aggirano intorno ai 70 miliardi all’anno, con una ulteriore riduzione del 3,2% a luglio 2018 sullo stesso mese del 2017.
Tap occuperà immense aree agricole, modificando irrimediabilmente l’aspetto e la destinazione del territorio. L’area da ‘Zona di interesse paesaggistico’ diverrà ‘Zona industriale’. Oltre a espiantare ulivi millenari, intaccherà l’habitat marino. Il “tubo” infatti arriva dal mare, passa attraverso la falda acquifera, che in zona San Foca è molto superficiale, e mette a rischio la costa, il mare e tutto l’ambiente collegato. L’opera potrebbe provocare dei contraccolpi per l’economia turistica, ittica e agricola, oltre ad impatti sull’ambiente e sul paesaggio. Dove passa un gasdotto, tutte le altre attività economiche diventano “secondarie” o collaterali.
Secondari e collaterali diventano anche gli abitanti. Inascoltate le continue proteste, manifestazioni e rimostranze da parte dei movimenti territoriali composti anche da sindaci, ambientalisti e agricoltori pugliesi. La storia di Tap, come quella di buona parte delle grandi opere in questo paese, è fatta di opacità, e scarsa disponibilità al dialogo e al confronto. Nonostante i tanti pareri contrari degli enti locali coinvolti, a partire dalla Regione e dai Comuni, si è proceduto ugualmente.
Ad esempio continua l’eradicazione degli ulivi, senza nemmeno aver completato l’iter autorizzativo per il percorso del tubo. Ancora, più volte è stato negato l’accesso agli atti, e ad oggi non c’è chiarezza sulle “due diligence” di Tap. Infine attualmente ci sono tre procedimenti penali pendenti: sull’ipotesi di elusione della normativa Seveso sul rischio di incidenti rilevanti; per la presunta violazione di vincoli paesaggistici in contrada “Le Paesane” a Melendugno e il trattamento degli ulivi fuori dal periodo autorizzato; e per l’inquinamento della falda di San Basilio, dove erano stati iniziati i lavori per la realizzazione del microtunnel e del pozzo di spinta.
(La versione integrale dell’articolo è comparsa su REDS, numero 6, giugno 2019)