La Nato lo scorso 4 aprile ha compiuto 70 anni. Si sono sprecate parole retoriche e di circostanza - il presidente Mattarella l’ha definita “un baluardo di pace” – ma non ci sono stati, da parte degli Usa e dei loro alleati, quei festeggiamenti in pompa magna a cui eravamo abituati nei decennali del passato. A Washington l’anniversario ha avuto un tono minore: non più un vertice di capi di Stato e di governo, ma un semplice vertice dei ministri degli esteri.
Molti sono i motivi di questi festeggiamenti in sordina. Il principale è da ricercarsi nella peculiarità della presidenza Trump, connotata da un’impostazione isolazionista e unilateralista. L’annunciato ritiro delle truppe dalla Siria, la trattativa con i talebani in Afghanistan per sganciarsi da quel teatro, e - più che altro - la pressante richiesta agli alleati europei di farsi carico dei crescenti costi per il mantenimento della sicurezza dell’occidente - il famoso 2% del Pil come tetto minimo di spese militari - sono oggetto di un silenzioso braccio di ferro che sta affaticando il patto militare più antico della storia contemporanea. Nonostante lo scioglimento del Patto di Varsavia e la caduta del muro di Berlino, non solo la Nato è rimasta in piedi ma si è estesa praticamente a tutto l’est europeo, fino a schierare missili e basi ai confini della Russia.
Contrariamente a quanto affermato, l’esistenza stessa della Nato negli ultimi decenni è stata causa di instabilità e insicurezza per il pianeta, anche per l’Europa. Sono aumentati il numero, la complessità e la letalità dei conflitti armati, e in gran parte del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia meridionale si è assistito a violenze prolungate e sconvolgenti. Il numero totale degli sfollati nel mondo ha superato la soglia dei 65 milioni, registrando una impennata negli ultimi anni.
Anche la retorica di un’Europa di pace mantenuta dalla Nato appare, a ben vedere, un falso storico. Non solo la Nato non ha evitato in piena guerra fredda i conflitti interni ai paesi alleati - la guerra nell’Ulster e quella dell’Eta nei Paesi Baschi, per non parlare della guerra più che trentennale al popolo kurdo da parte di Ankara – ma anche la contrapposizione militare fra due paesi cardini dell’Alleanza atlantica come la Grecia e la Turchia, con l’invasione e la divisione in due di Cipro.
Dopo la caduta del muro di Berlino e della cortina di ferro, la Nato ha poi avuto un ruolo decisivo nello smembramento sanguinoso della Jugoslavia – con migliaia di tonnellate di bombe atlantiche all’uranio impoverito buttate sulla Bosnia prima e sul Kosovo e la Serbia poi – e nella disgregazione dell’Urss (si pensi all’Ucraina e non solo, con il conflitto del Donbass).
Che l’esistenza in vita della Nato non significhi più sicurezza, lo dimostra il fatto che i trasferimenti internazionali di sistemi d’arma sono aumentati, e la spesa militare globale è schizzata verso l’alto. A fronte di questa continua instabilità – Bush arrivò a teorizzare la guerra permanente e la destabilizzazione di intere aree geografiche come strumento di “governo” del pianeta – si è incrinata anche l’unica certezza positiva degli ultimi decenni: la progressiva riduzione degli armamenti atomici. Russia e Usa si sono reciprocamente accusati di aver violato il Trattato del 1987 sull’eliminazione di missili a gittata intermedia e breve (Inf Treaty), mentre non vi sono trattative in corso per estendere o sostituire il Trattato del 2010 sulle misure per l’ulteriore riduzione e limitazione delle armi strategiche offensive (New Start), in scadenza a febbraio 2021. Gli Stati della Nato si sono opposti all’adozione del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Treaty on the prohibition of nuclear weapons, Tpnw) nel luglio 2017.
In questo quadro l’Italia continua ad essere uno dei paesi della Nato con maggior numero di basi Usa sul proprio territorio. Nonostante risulti firmataria del Trattato di non proliferazione nucleare, sta provvedendo ad ammodernare gli hangar delle basi di Aviano e Ghedi con le nuove bombe atomiche B61-12, che potranno essere utilizzate dal nuovo cacciabombardiere F-35, con la sua doppia capacità sia nucleare che convenzionale.
Il fianco sud della Nato risulta il più vulnerabile proprio a causa dell’insensata politica di aggressione usata contro la Libia (in questo un vero monumento del fallimento dell’Alleanza Atlantica con i diversi “alleati” schierati su fronti opposti), nella destabilizzazione della Siria, e nella mancata soluzione delle vicende kurda e palestinese.
Le nuove minacce – terrorismo religioso e minacce cyber – richiederebbero un approccio nuovo e politiche più attente alla giustizia sociale e alla cooperazione tra i popoli. Il guaio è che la Nato, invece di svuotare i giacimenti di odio, sovente continua a riempirli.