L’acerba democrazia di Tirana ostaggio delle oligarchie e della corruzione. Da dieci anni membro della Nato, il paese non viene considerato ancora credibile per l’accesso all’Unione europea.
Non demorde l’opposizione di Partia Demokratike, la destra parlamentare albanese, che anche lo scorso 13 aprile, dopo una pausa, è tornata in piazza in Albania per contestare il governo socialista del primo ministro Edi Rama. Anche questa volta la protesta si è manifestata in modo colorito. Contro il palazzo del governo sono stati lanciati frutta, verdura, inchiostro e materiale pirotecnico. Insomma una ripetizione di quello che si era già verificato a febbraio e, per la verità, un po’ lungo tutta la storia dell’Albania post-comunista, con i democratici fondati da Sali Berisha e ora guidati da Lulzim Basha da sempre contrapposti ai socialisti eredi del vecchio e dogmatico partito comunista, guidati negli anni ’90 da Fatos Nano che divenne primo ministro nel 1997.
Diversi gli elementi che stanno dietro questa contrapposizione. Alla base dei democratici ritroviamo l’Albania rurale e meno scolarizzata, mentre a sostenere i socialisti è la parte più acculturata del paese, che tuttavia sembra manifestare anch’essa insofferenza per il protagonismo eccessivo del leader Rama. In più, proprio le condizioni di vita del ceto medio urbano che votava socialista sono peggiorate, in virtù anche e soprattutto di una politica sempre più determinata dalle scelte imposte dall’Unione europea. Una Ue che non vede di buon occhio le proteste di questo inizio 2019, perché l’Albania è un paese troppo importante dal punto di vista geopolitico, data anche la sua presenza nella Nato da dieci anni.
A proposito di Europa, c’è proprio la questione aperta tra il vecchio continente e Tirana sulla possibilità per quest’ultima di entrare nell’Ue. Una possibilità però ancora molto lontana, perché da un lato l’Albania deve modificare le proprie istituzioni per renderle più affidabili, dall’altro c’è la presenza di un sistema politico poco credibile.
Secondo il giornalista Nicola Pedrazzi dell’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, in un’intervista rilasciata a Sky Tg24, quella in corso è una vera e propria faida politica che vede “un partito democratico sempre con minore consenso che cerca di entrare nel palazzo del potere”, alla ricerca di una immunità “di fronte ad un sistema giudiziario che presto si renderà indipendente”. Teniamo conto che tutto il sistema politico albanese è fortemente infiltrato dalla criminalità organizzata.
A fronte di questo scenario politico estremamente problematico, l’Albania in questi ultimi decenni è comunque molto cambiata, grazie ad una prospettiva economica molto positiva per il medio termine. Il paese delle aquile non è più quella terra pericolosa e poco attrattiva per i turisti. Ora non solo è molto frequentata per le sue bellezze, ma anche meta per chi, dall’altra parte dell’Adriatico, vuole trascorrere una pensione pagando meno tasse e con un potere di acquisto del proprio reddito molto più alto.
Tornando ai dati economici, secondo fonti della Farnesina, questi restano positivi per il biennio 2019-21, con una crescita che dovrebbe rimanere superiore al 4%. In particolare nell’anno in corso dovrebbe arrivare al 4,3%, al 4,4% nel 2020, e al 4,5% nel 2021. Un quadro molto favorevole, che dovrebbe dare il via ad un circuito virtuoso con un aumento della domanda interna, sia in termini di consumi privati che di investimenti.
Più moderate, ma sempre in un contesto positivo, sono le previsioni della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale per i quali i tassi di crescita sono rispettivamente del 3,6% e del 3,5% nell’anno in corso, e del 3,7% e del 3,9% per il 2020. Tassi di crescita legati alla conclusione dei lavori di realizzazione del gasdotto del Tap, e della centrale idroelettrica di Devolli.
Questo quadro tuttavia ha solo in parte effetti benefici sulla popolazione. A fronte di un’inflazione comunque sotto controllo, solo 1,8% nel 2018, il tasso di disoccupazione resta e supera il 12%. Con le oligarchie che continuano a farla un po’ da padrone, e a tenere in ostaggio l’acerba democrazia albanese.