I tanti doppi cittadini diventano pretesto per ingerenze occidentali, mentre la stampa estera accusa il governo anche per fatti inesistenti o normali negli altri paesi.
In Venezuela si continua a vivere, a discutere di politica. Con una popolazione che, per il 30%, è fatta da gente che ha doppia nazionalità e doppio passaporto, pur non conoscendo né la lingua, né le tradizioni del paese di origine. La nazionalità si acquisisce per sangue, basta avere un bisnonno italiano, portoghese, spagnolo o tedesco e, automaticamente, come per miracolo e in barba alle discussioni becere sul negare il diritto di cittadinanza per nascita che si sostengono oggi in Italia (diritto sicuramente più legittimo di quello di avere bisnonni italiani), si conquista il diritto di andare a piangere all’estero. E quello di chiedere a paesi dei quali neanche si conosce l’esatta collocazione geografica di intervenire contro il cattivo Maduro, per il semplice fatto di possedere un passaporto con la scritta “Unione europea”.
Sono passaporti che i leader dell’opposizione utilizzano per scorrazzare da Miami a Berlino e a Parigi, per piagnucolare e chiedere, in un inglese biascicato male, di fare qualcosa per riportare la “democrazia” a diecimila chilometri di distanza. Un mondo alla rovescia: mentre in Italia si nega il diritto di essere italiani a giovani nati e cresciuti nel ‘bel paese’, qua si rilasciano passaporti a chi ha avuto la fortuna di avere un discendente italiano. Reiterando la cosa per infinite generazioni, ossia: se negli anni ‘50 il nipote di un nonno emigrato nel 1910 chiedeva la cittadinanza italiana, gli veniva concessa; ed oggi il nipote di colui che, negli anni ‘50, l’aveva ottenuta, ha esattamente lo stesso diritto del nonno di ottenerla. E di chiedere all’Italia di barcamenarsi per fare una netta e chiara ingerenza nella politica interna di un paese di oriundi infuriati, perché spodestati dalle loro posizioni sociali di rilievo.
Insomma, qui di cose che non funzionano ce ne sono tante, proprio tante. Ma si procede per avere un’identità certa del paese, per non dover abbassare sempre la testa davanti al primo mondo che ha solo l’interesse per cose come coltan, petrolio, oro, diamanti e mille altre risorse. E proprio da quell’occidente che si professa paladino delle battaglie dem arrivano le sanzioni, e poi gli aiuti umanitari. Come se in casa vostra venisse prima un ladro a rubarvi tutto, poi a rivendervelo a prezzi esagerati e, poi ancora, a puntarvi la pistola in fronte per farvi riprendere quello che vi ha rubato, chiedendovi però di attaccarsi ai vostri contatori per farvi pagare le bollette. Neanche nei fumetti di Popeye sarebbero credibili simili vicende.
E poi arrivano i fautori della democrazia da esportazione. Coloro che, ai loro banchetti elettorali, utilizzano gli attori di queste vicende per i loro fini. Ultime sono le cianfrusaglie informative sull’attacco, da parte del governo Bolivariano, ai poveri “indigeni”. Bene, prima di tutto c’è da fare una bella premessa, prima di affrontare tematiche di questo tipo, soprattutto se vengono strumentalizzate da signorotti dell’azione politica che non farebbero sostare un rom, un sinti o una indigena manco a quindici metri dal loro garage.
Qui, in Venezuela, gli indigeni sono più rari dei diamanti. I pochi che restano parlano le loro lingue (del ceppo Caribe o Arawak), e non sanno neanche chi sia il presidente di questo paese. Non hanno un senso di appartenenza nazionale ma transnazionale. Storicamente non si sono mai identificati con una nazione, ma con un territorio che occupa più nazioni. E la loro vita è sempre stata spesa nel commerciare da una frontiera all’altra, e nel rivendere prima, e contrabbandare poi, le risorse naturali. Chiaro che, davanti a reati come il furto e il contrabbando, qualche reazione governativa ci debba essere. È come se da noi, in Italia, i liguri andassero in Piemonte a rubare il tartufo di Alba e lo rivendessero ai ricconi di Forte dei Marmi a metà prezzo e senza pagare le tasse. Pensate davvero che nessuno direbbe niente? Insomma, prima di intromettersi nelle questioni, o restare sorpresi dagli eventi, dall’una e dall’altra parte, senza conoscere questi piccoli dettagli (che però sono fondamentali nella tenuta democratica delle istituzioni), sarebbe meglio glissare e parlare d’altro. Perché le bandierine sono utili, verissimo, ma vanno controllate quando i venti sono casuali.