Bassa partecipazione al voto, lontano dal quorum. Come il sindacato, i cittadini non hanno avuto dubbi nel rifiutare la privatizzazione.
Domenica 11 Novembre i romani sono stati chiamati ad esprimere un voto attraverso un referendum su Atac, l’azienda di trasporto pubblico capitolina. Una realtà aziendale che occupa oltre 11mila dipendenti, e garantisce alla città un servizio di trasporto universale. Un referendum puramente consultivo. Ma il comitato promotore, fin dalla presentazione dei due quesiti, ha giocato volutamente sui termini liberalizzazione/privatizzazione, evidenziando solo come fine ultimo la volontà di porre fine al monopolio di Atac. Nascondendo lo scenario più che plausibile nel caso di vittoria del “Sì”, cioè la più ampia apertura, rispetto ad oggi, della privatizzazione del trasporto pubblico locale a Roma.
Se infatti è vero, dal punto di vista giuridico, che liberalizzazione non è privatizzazione, nel caso specifico di Atac la concorrenzialità nella sua gestione e nel suo controllo, se si esclude – com’è probabile data anche la condizione di concordato preventivo in cui versa - che sia Atac stessa ad aggiudicarsi una eventuale gara di appalto, produrrebbe de facto l’affidamento del servizio ad aziende che opererebbero come privati.
Esiste una vasta letteratura secondo cui le privatizzazioni hanno portato al generale peggioramento della qualità del servizio e delle condizioni di lavoro nelle realtà prese in esame. Così come esiste una vasta casistica di realtà pubbliche del trasporto pubblico locale che producono utili. Privato non vuol dire né migliore servizio, né tantomeno maggiori garanzie per lavoratrici e lavoratori: guardiamo il caso di Roma Tpl, che gestisce, molto male, la maggior parte delle linee periferiche e ultra periferiche.
Il privato pensa al profitto, a recuperare il più velocemente possibile quanto eventualmente investito, non necessariamente mettendo in atto migliorie se non quelle ineludibili. Pensa ad una ipotetica maggiore tariffazione, e a ristrutturare con tagli ed esuberi. Invece il pubblico è di tutti, e il nostro compito è pretendere di migliorarlo.
La Filt e la Cgil di Roma e del Lazio non hanno mai avuto dubbi sulla posizione da prendere, affiancando la battaglia dei molti comitati per il “No” e costituendone uno anche con Cisl e Uil di categoria e confederale regionale. Considerato l’esito del (non) voto, evidentemente anche la cittadinanza non ha avuto dubbi.