Il suo insegnamento sarà il nostro impegno: stare sempre saldamente dalla stessa parte, sempre partigiani.
Che si trattasse di un sit-in in difesa dei migranti o di un dibattito in difesa dell’articolo 18, che si dovesse organizzare la campagna referendaria in difesa della Costituzione o sostenere un candidato di sinistra pronto a sfidare la Lega in un paesino della profonda pianura padana, non serviva chiamare il “Comandante Eros” chiedendogli di partecipare. Perché tanto lui era già lì, anzi probabilmente quell’iniziativa l’aveva proprio organizzata lui.
Nato a Nervesa della Battaglia, in provincia di Treviso, il 15 maggio 1926, mutilato di guerra, presidente dell’Anpi di Treviso, Umberto Lorenzoni era entrato nella Resistenza col nome di battaglia di “Eros”, interrompendo gli studi classici che aveva intrapreso. Impegnato nella lotta ai nazifascisti nelle Prealpi trevigiane, fu commissario di battaglione nella divisione partigiana “Nino Nannetti”. Ferito durante un combattimento, Lorenzoni fu proposto, nel dopoguerra, per una decorazione al valore. Ci rinunciò, perché fosse assegnata a un partigiano caduto.
Per quaranta anni, Lorenzoni (che dopo la Liberazione ha diretto un’azienda di confezioni), è stato consigliere comunale a Nervesa Della Battaglia, e consigliere provinciale per il partito Socialista. Poi l’impegno nell’Anpi, di cui divenne presidente.
Insofferente alla retorica sulla Resistenza e la Costituzione, per Umberto “essere partigiano” - non “essere stato”, puntualizzava sempre - significava lottare oggi contro il razzismo, contro il risorgere delle destre, significava difendere il lavoro e gli ultimi. Non si tirava mai indietro e aveva per tutti sempre quel sorriso disponibile, quella voglia di discutere, di costruire mobilitazioni, ma più di ogni altra cosa amava stare tra i giovani.
Fino a 91 anni arrivava ovunque con la sua grossa Alfa Romeo rossa, nuova fiammante, controllava il cellulare, pubblicava su Facebook, lanciava invettive tremende contro fascisti e razzisti. Un trascinatore nato. Il 21 Aprile del 2015 venne conosciuto in tutta Italia grazie ad una testimonianza speciale in diretta a “Ballarò”, per il settantesimo anniversario della Liberazione.
E’ morto il 18 novembre, dopo sette mesi di una malattia che lo aveva costretto a letto, condizione che viveva come una tortura insopportabile. Al suo funerale laico ha partecipato una moltitudine di giovani, artisti, vecchi compagni, ragazzi dei centri sociali, e con il saluto e il cordoglio rispettoso anche dell’avversario di sempre, leghista. La sua passione e il suo insegnamento saranno l’impegno della Cgil e della sinistra di Treviso di stare sempre saldamente dalla stessa parte, sempre partigiani.