E' stata una giornata importante quella che si è svolta sabato 6 ottobre a Napoli. Si sono riuniti, nel secondo incontro nazionale, tutti i comitati e le reti che hanno avviato nei propri territori percorsi di indagine (audit) pubblica e indipendente sulla situazione finanziaria e debitoria dei propri enti locali, al preciso scopo di mettere in discussione la narrazione dominante, che pone i vincoli finanziari come priorità sulla garanzia dei diritti fondamentali e la difesa dei beni comuni delle comunità locali.
Da Torino a Napoli, passando per Genova, Parma, Livorno e Roma, sono alcune decine i comitati che hanno concretamente avviato il lavoro di audit, e altrettante sono le realtà in procinto di farlo. Tutti accomunati da un filo rosso: rompere la narrazione della trappola del debito significa interrompere l’automatismo per cui, se da una parte si continua a dire che “c’è il debito e non ci sono i soldi”, dall’altra se ne consegue che “se i soldi non ci sono, prima gli italiani!”. Mettere in discussione la premessa diviene assolutamente necessario per smascherare le conclusioni. E, non a caso, la giornata si è aperta con un applauso di solidarietà a Domenico Lucano, in connessione diretta con la manifestazione nazionale antirazzista che nello stesso giorno si è tenuta a Riace.
L’analisi affrontata ha rimesso al centro le comunità locali, oggi direttamente sotto attacco delle politiche liberiste e di austerità, al preciso scopo di metterle con le spalle al muro per favorire la messa sul mercato del patrimonio pubblico, dei beni comuni e dei servizi pubblici.
Due dati rendono concreto l’attacco: a) quasi tutte le misure, imposte con il patto di stabilità e con il pareggio di bilancio, sono state scaricate sugli enti locali, nonostante il concorso di questi ultimi al debito pubblico nazionale non superi l’1,8%; b) nonostante i Comuni nel periodo 2010-16 abbiano aumentato le imposte locali per 7,8 miliardi, le risorse complessive di cui disponevano nel 2016 erano di 5,6 miliardi inferiori a quelle detenute nel 2010. Di conseguenza siamo di fronte ad un gigantesco processo di espropriazione delle comunità locali, giunto al punto di mettere seriamente in discussione la loro funzione pubblica e sociale.
Tre gruppi di lavoro hanno scandito il confronto della giornata: sul dissesto degli enti locali (oltre 800 i Comuni in acuta crisi finanziaria negli ultimi 30 anni); sui derivati (ancor oggi, dieci anni dopo il divieto, sono 174 i Comuni con in pancia i titoli tossici), e sulla finanza locale (scomparsa, dopo la privatizzazione nel 2003 di Cassa depositi e prestiti, Cdp).
Le proposte uscite dal confronto collettivo sono state molto concrete. Sul versante del dissesto, si vuole aprire una battaglia comune per modificare la legge vigente che scarica sui cittadini le sanzioni relative, proponendo l’istituzione, mutuata dalla normativa privatistica, della figura degli enti locali in “sovraindebitamento”, che ne eviti il dissesto e le relative conseguenze. Sul versante dei derivati, si è deciso l’avvio di una campagna comune per il loro annullamento, anche a fronte della Decisione del 04/12/2013 della Commissione europea, che ne permette la contestazione e la relativa richiesta di risarcimento dei flussi negativi addebitati ai Comuni. Per quanto riguarda infine la finanza locale, si è deciso di lavorare ad una proposta di legge di iniziativa popolare, con l’obiettivo della socializzazione e della gestione decentrata e partecipativa della Cdp.
Sono obiettivi importanti che richiedono, accanto al lavoro dei comitati territoriali, il diretto coinvolgimento degli enti locali più attenti e interessati. Da questo punto di vista non è stata casuale la scelta di Napoli per ospitare l’assemblea: Napoli è non solo la prima città che ha deliberato, in accordo con i movimenti, l’istituzione di una “Consulta pubblica di audit sulle risorse e sul debito della città”; è anche il Comune che, grazie alla presenza nella plenaria di sabato del sindaco Luigi De Magistris e dell’assessore Carmine Piscopo, si è direttamente impegnato a convocare un’assemblea degli enti locali in dissesto entro fine novembre, al fine di costituire una “Rete dei Comuni” che apra una vertenza, parallela a quella praticata dai movimenti, nei confronti del governo e dei vincoli imposti dall’Ue, e in difesa dei diritti delle comunità locali.
Questo perché liberare le città dal debito diviene l’unica possibilità di uscire dal campo di gioco predefinito, che prevede una finta battaglia fra chi si schiera con l’establishment finanziario, e chi vi si oppone in nome di un sovranismo che non mette in alcun modo in discussione i medesimi vincoli, modificandone semplicemente le sedi di comando.