CR7: prima i portoghesi - di Cesare Caiazza

Valutazione attuale: 5 / 5

Stella attivaStella attivaStella attivaStella attivaStella attiva
 

Per tanti anni ho giocato a calcio e sono ancora appassionato di questo sport. Quindi, pur non essendo un tifoso della Juventus (anzi sono sinceramente anti-juventino), sarò contento di ammirare le gesta atletiche di Cristiano Ronaldo, uno dei migliori calciatori di tutti i tempi. Ma l’operazione economica che ha consentito di portare il campione portoghese dal Real Madrid alla Juve merita qualche riflessione.

Prima di tutto per il suo ammontare: è l’acquisto più costoso e lo stipendio più elevato di sempre nella storia dello sport in Italia. Centocinque milioni di euro (compreso il 5% del contributo di solidarietà) pagati al Real Madrid per il riscatto del cartellino; 60 milioni (30 netti) per quattro anni lo stipendio che verrà corrisposto a CR7; 12 milioni di commissione. Un costo totale di 357 milioni di euro. Tanto per capire, con esempi banali, il recente ed enfatizzato “taglio dei vitalizi” ai deputati, 40 milioni di euro per i prossimi quattro anni, produrrà un risparmio di 20 milioni inferiore rispetto allo stipendio che percepirà Ronaldo.

Guardando alla cronaca di questi giorni, segnata da spietate azioni del governo contro gli sbarchi di gente disperata, la prima cosa che mi viene in mente è riferita all’insopportabile segno di una “globalizzazione liberista” in ragione della quale il “prima di tutti gli italiani” è agito soltanto contro gli “ultimi”, aizzando i “penultimi” al grido “ci rubano il lavoro”. Raccontando – fra l’altro – cose che cozzano con l’esigenza economica e sociale del nostro paese: pena il declino della popolazione per denatalità ed invecchiamento, serve un sensibile aumento di immigrati. Altro che invasione, è l’immigrazione che sta già salvando e può dare un futuro al nostro paese.

Accoglienza e integrazione sono nella nostra Carta costituzionale, ma vengono calpestate da una cultura reazionaria e fascista che fonda le sue fortune sulle paure e su un’insicurezza dettata da enormi iniquità. Compresa quella che, se ricchi, si può tranquillamente venire da “stranieri” in Italia a guadagnare tanti altri soldi. E nessuno, in questo caso, dice “prima di tutto gli italiani”.

Ma vorrei soffermarmi anche su un “sistema sportivo” segnato al proprio interno da enormi iniquità e disuguaglianze. In Italia sono circa 7mila gli atleti professionisti (il 91,5% nel calcio): solo poco più di 300 ha retribuzioni annue superiori ai 700mila euro. Circa mille superano i 100mila euro di stipendio. Il resto si attesta su soglie più basse, molti sotto i 50mila euro e una discreta percentuale anche a meno di 10mila. Considerando che la vita agonistica di un atleta difficilmente supera una ventina di anni, è evidente che vi sono tantissimi “professionisti” che, se non svolgono un altro lavoro, sono perfino a rischio povertà. Questo per non parlare degli atleti dilettanti (la stragrande maggioranza, vista l’esiguità delle Federazioni per le quali si riconosce lo status di professionista e l’esclusione discriminatoria di tutti gli sport femminili). Per loro non esiste neppure un inquadramento sotto il profilo del diritto del lavoro, escludendoli da ogni copertura contributiva e previdenziale.

C’è poi il complessivo mondo del lavoro legato in vario modo alle attività sportive: un milione di addetti, dei quali solo poche decine di migliaia godono dello status di lavoratore dipendente. Un settore segnato da un’atavica precarietà, dal ricorso sistematico a forme diffuse di “volontariato” che sottintendono molto spesso lavoro nero e sommerso. Il tutto in un quadro di vera e propria “anarchia contrattuale”, assenza di regole precise, e con una legislazione confusa e carente.

Malgrado tutti questi “attori” contribuiscano a muovere il grande circo dello sport, determinando un fatturato complessivo pari al 4% del Pil, insistono in questo mondo (più che in altre realtà) insopportabili divari tra i pochi “ricchi” e più di un milione di persone con basse retribuzioni e prive di diritti.

 

P.s.: C’è da sperare che alle cifre ufficiali dell’acquisto di Ronaldo non se ne siano aggiunte altre in nero, come capitato in operazioni analoghe, a partire dall’acquisto nel 1992 da parte del Milan del giocatore Lentini, come accertato dalla magistratura. Infatti un altro grande tema che interessa il sistema sportivo italiano attiene al rispetto della legalità. Auspico anche che CR7 perda il vizio dell’evasione fiscale, che lo ha portato in Spagna a dover rispondere per non aver pagato tasse per quasi 15 milioni di euro. Qualche maligno pensa che la scelta “italiana” sia anche in ragione di una legislazione molto più blanda nei confronti dell’evasione: in Spagna Ronaldo ha rischiato il carcere, e ha dovuto accettare di pagare il doppio di quanto evaso. Se così fosse, ancora una volta in Italia si affermerebbe il “prima i portoghesi”, intesi non come cittadini del Portogallo, ma come quelli che non pagano.

©2024 Sinistra Sindacale Cgil. Tutti i diritti riservati. Realizzazione: mirko bozzato

Search