Continua il prezioso lavoro della Fondazione Di Vittorio di lettura critica dei dati forniti dalle fonti ufficiali sul mercato del lavoro nel nostro paese. Una nota, diffusa il 15 giugno scorso, ha nuovamente riportato con i piedi per terra, se così si può dire, le notizie entusiastiche sulla ripresa occupazionale, che in termini di “teste” avrebbe consentito di recuperare la situazione pre-crisi del 2008.
Leggendo i “Conti economici trimestrali” dell’Istat, diffusi all’inizio di giugno, la Fondazione Di Vittorio ne analizza l’indicatore del flusso di lavoro utilizzato nei processi produttivi, cioè le ore effettivamente lavorate. Un indicatore più sensibile di quello rappresentato dai soli occupati. Questi ultimi infatti, nel caso estremo, possono essere tali anche avendo lavorato solo un’ora nella settimana di riferimento.
Parlare unicamente di “occupati” non consente di leggere il dato relativo alla distribuzione individuale delle ore di lavoro, in primo luogo con il part-time, ma anche con i vuoti di attività lavorativi legati alle varie forme di precariato. La Fondazione Di Vittorio può così verificare che, se il numero di occupati recupera i livelli pre-crisi, questo non avviene per la quantità di ore lavorate.
Se non è scorretto affermare che il numero di persone occupate (le “teste”) recupera il livello massimo toccato prima della crisi, nello stesso tempo la quantità di lavoro effettivamente prestata nel primo trimestre 2018 è ancora inferiore di 693 milioni di ore a quella dello stesso trimestre del 2008. Una differenza che corrisponde alla mancanza di 1,2 milioni di unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (Ula): tanti sarebbero i lavoratori continuativamente a orario standard per posto di lavoro necessari, per coprire la differenza di monte ore lavorate del 2018 rispetto allo stesso periodo del 2008.
A riprova, il dato sul lavoro dipendente della “Rilevazione trimestrale sulle forze di lavoro” risente della crescita dei lavoratori a tempo determinato, che toccano il massimo storico (valori destagionalizzati) di 2,92 milioni di occupati, 600mila circa in più del massimo pre-crisi del primo trimestre 2008. Il tempo indeterminato invece si colloca sostanzialmente sui livelli di dieci anni fa. Ma, sempre nel primo trimestre 2018, il part-time cresce notevolmente, e si attesta complessivamente a 4,27 milioni di lavoratori, un milione in più del primo trimestre 2008.
Al suo interno, anche il part-time involontario raggiunge un massimo storico, arrivando a 2,74 milioni, un milione e mezzo oltre il livello del primo trimestre 2008. E nella media 2017 (il dato Istat più recente) 853mila dipendenti a tempo determinato sono anche a part-time. Anche in questo caso si tratta di un massimo storico.
E’ quindi evidente, secondo la Fondazione Di Vittorio, il peggioramento della qualità dell’occupazione, evidenziata dalla divaricazione fra l’andamento delle ore lavorate e quello degli occupati, assieme ai dati sul tempo determinato e sul part-time involontario.
La Fondazione segnala poi un ulteriore elemento, utile a comprendere le tendenze in atto nel lavoro: la relazione fra andamento del Pil e ore lavorate. Solo nella fase iniziale della grande recessione il Pil e le ore lavorate hanno avuto andamenti differenziati, riallineandosi già nella seconda metà del 2010. Successivamente le due grandezze hanno sostanzialmente marciato di pari passo, con un guadagno del Pil sulle ore, in lieve flessione, nel primo trimestre 2018. Mentre il contrario (ore che crescono più del Pil) si era verificato a cavallo tra il 2015 ed il 2016, in concomitanza con la corsa degli imprenditori ad usufruire dell’esonero contributivo 2015.
Del resto, segnala la Fondazione, è significativo l’andamento degli investimenti produttivi, che dopo essere calati del 30% dall’inizio del 2008 al 2013, nonostante una successiva ripresa, restano ancora 17-18 punti sotto i livelli pre-crisi. La flessione degli investimenti non può non aver avuto un impatto sui livelli e la qualità dell’occupazione, come anche sulla produttività e sulla competitività del paese. Così il Pil nel primo trimestre del 2018 è inferiore del 5,5% al livello di dieci anni prima, e le ore lavorate lo sono del 6% (2,2% per i dipendenti e 14% per gli indipendenti).
La nota della Fondazione conclude con la conferma che quantità e qualità del lavoro sono prevalentemente legati ai meccanismi dello sviluppo, e molto meno agli interventi normativi o di temporanea incentivazione, che hanno avuto solo l’effetto di peggiorare le condizioni e i diritti dei lavoratori. Secondo la Fondazione, per migliorare la qualità del lavoro e recuperare “le ore perdute” sarebbe necessaria una crescita ben più sostenuta di quella finora realizzata, sia in termini di qualità della produzione che di investimenti.