“Andiamo a lavorare e vogliamo tornare a casa” - di Mariapia Mazzasette

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In Veneto l’aumento delle vittime del lavoro è l’altra faccia della medaglia di una regione che rivendica una crescita del Pil superiore alla media nazionale.

Sette figuranti, con le facce imbiancate e gli abiti da lavoro, accompagnati dal suono cadenzato dei tamburi, hanno aperto il corteo del Primo Maggio a Verona, seguiti da uno striscione con lo slogan “Andiamo a lavorare e vogliamo tornare a casa”. Sette figure perché sette sono state, in questi primi mesi del 2018, le vittime sul lavoro nel territorio veronese.

Il flash mob, organizzato da Cgil, Cisl e Uil, si è tenuto nella piazza principale di Verona, occupata dagli stand della Fiera dei Sapori e gremita di cittadini e turisti. Negli anni precedenti la Festa del Lavoro veronese si celebrava nella sempre centrale ma più raccolta piazza dei Signori. Per attirare l’attenzione e coinvolgere il maggior numero di persone sulla sicurezza sul lavoro, tema scelto quest’anno dalle confederazioni sindacali per il Primo Maggio, in una provincia che vanta il triste primato del maggior numero di infortuni, si è voluta la piazza Bra, la più grande di Verona.

Molte le persone che si sono fermate ad osservare il flash mob, alcune si sono poi aggregate al corteo, e l’intera piazza ha ascoltato partecipe il concerto finale di fischietti accompagnato dal ritmo dei colpi per terra dei caschetti protettivi. Sicuramente un Primo Maggio riuscito e coinvolgente, anche se il clima non era di festa.

Dal 2013 al 2017 infatti gli infortuni sul lavoro denunciati all’Inail in Veneto sono stati ben 375.135, di cui 79.831 nella provincia veronese. Nel 2017 gli infortuni mortali in questa regione furono 49, e 46 nel 2016. Nei primi quattro mesi del 2018 siamo già a quota 23, e di questi sette a Verona e provincia.

L’aumento delle vittime del lavoro è l’altra faccia della medaglia di una regione che rivendica una crescita del Pil regionale superiore alla media nazionale, il recupero dei posti di lavoro persi in questi lunghi anni di crisi, e un tasso di disoccupazione sceso al 5.9%. Una ripresa economica accompagnata, però, da una sempre maggiore diffusione di contratti a tempo determinato, che con la continua rotazione di mansioni e impieghi impediscono che i lavoratori possano accumulare competenze e informazioni utili a prevenire gli infortuni.

Nei luoghi di lavoro, inoltre, per effetto dell’allungamento della vita lavorativa, c’ è una maggiore presenza di lavoratori “anziani”, più esposti agli incidenti. A questo si aggiunge una filiera produttiva sempre più frantumata tra appalti e subappalti, in una continua rincorsa alla riduzione dei costi di produzione, vera caratteristica del sistema economico del nord-est.

Convegni e dibattiti ormai quotidiani affrontano il tema dei cambiamenti imposti dalla rivoluzione digitale, la cosiddetta “Industria 4.0”. Si discute di avvento dei robot e di competenze necessarie per gestire le nuove tecnologie, ma anche degli inevitabili problemi che comporterà la convivenza nei posti di lavoro tra uomini e robot. I dati degli infortuni ci ricordano, però, che esiste un “altro” mondo del lavoro. Un mondo del lavoro in cui ci si fa male, o addirittura si muore, ancora come 20 o 30 anni fa: cadendo da un’impalcatura, schiacciati da pesi, travolti da mezzi meccanici e trattori.

Nell’epoca dei robot e dei sistemi cibernetici, i settori con il maggior numero di infortuni sono ancora l’agricoltura e l’edilizia. C’è sicuramente un problema di scarsi controlli. La prevista Agenzia unica di controllo istituita dal jobs act non ha risorse economiche, e le ispezioni sono svolte dalle precedenti strutture, con sempre meno personale per l’ormai ultra decennale mancato turn over. Gli Spisal (strutture delle Aziende sanitarie locali preposte al controllo dei luoghi di lavoro) risentono delle riduzioni strutturali di risorse alla sanità. Ma è l’attuale mondo del lavoro che produce insicurezza, purtroppo non solo economica.

Aumento degli investimenti in misure di prevenzione e rafforzamento del sistema pubblico delle ispezioni e dei controlli sono necessari e urgenti, ma se non si investirà essenzialmente su di un lavoro meno precario, formato, con diritti e tutele, la lotta contro gli infortuni e per la sicurezza sul luogo di lavoro è destinata ad essere sconfitta.

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