Un lavoro dignitoso per salvare il settore della pesca - di Antonio Pucillo

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Lo stato di agitazione per denunciare la mancanza di interesse da parte della politica, verso un settore dove mancano le condizioni basilari per sostenere un’attività produttiva e salvaguardare i lavoratori.

Lo stato d’agitazione indetto nel settore della pesca lo scorso 24 gennaio fa seguito ad una serie di accadimenti che hanno portato i lavoratori all’esasperazione. Da anni il settore vive una condizione di continuo ed inesorabile declino. I dati ufficiali dimostrano il calo progressivo degli occupati e delle imbarcazioni, quando per imbarcazioni intendiamo singole aziende che cessano l’attività, lasciando senza lavoro i propri dipendenti. Sono 3.600 i posti di lavoro persi tra gli anni 2008 e 2015, e oltre mille le imbarcazioni che hanno deciso di cessare l’attività di pesca.

E’ una condizione determinata dal continuo incremento del costo del carburante e dalla mancanza di prodotto da pescare. Il mare sta diventando sempre più povero, e alcuni regolamenti emanati dalla Commissione europea per la tutela della risorsa non si sono dimostrati adatti alla specificità del Mediterraneo. Al contrario, hanno reso ancora più complicato il lavoro dei pescatori che, in aggiunta, devono districarsi tra regolamenti e norme, molto spesso difficilmente comprensibili dai lavoratori.

Il quadro, molto complicato, si è arricchito in questi ultimi giorni di un ulteriore elemento che, se confermato, potrebbe determinare la cancellazione dell’intero comparto produttivo della pesca. Infatti, con una nota, il ministero del lavoro e delle politiche sociali avrebbe espresso all’Inail l’avviso che le agevolazioni derivanti dalla legge 30 del 1998 (concesse alle imprese che esercitano la pesca costiera e la pesca in acque interne e lagunari) dovranno essere sospese, in quanto non contemplate tra quelle regolate dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato. La norma, in vigore da quasi 20 anni, ha permesso alle imprese sgravi fiscali e contributivi del 50% circa, compensando in parte i maggiori costi e i minori ricavi.

Quindi l’Inail, sulla base delle indicazioni ricevute dal ministero del lavoro, ha deciso di sospendere l’applicazione di questa norma, annunciando anche il recupero delle somme relative al 2017. Un atteggiamento irresponsabile, attuato senza alcun coinvolgimento delle parti sociali, procurando rabbia e sconforto tra i lavoratori. Al momento, in mancanza di soluzione, le imprese dovrebbero integrare quanto dovuto all’Inail entro e non oltre il 16 febbraio, con il rischio che anche l’Inps avanzi la stessa richiesta. Una situazione paradossale, che determinerebbe la probabile chiusura di un’impresa su due.

In questi giorni abbiamo fatto pressione sui ministeri competenti per trovare una possibile soluzione. Ma, ad oggi, l’unica alternativa trovata sembra quella di un contributo “de minimis” (regolamento europeo 717/2014), che potrebbe risolvere solo in minima parte il problema.

Quest’ultima tegola, caduta sulla testa dei pescatori, va ad aggravare una condizione già di per sé complicata. Da anni denunciamo la mancanza di interesse da parte della politica verso questo settore, dove mancano le condizioni basilari per sostenere un’attività produttiva e salvaguardare i lavoratori. Manca un ammortizzatore sociale strutturato a sostegno dei lavoratori e delle imprese, non solo a compensazione dei momenti di crisi settoriale o di mercato, ma anche per dare seguito agli obblighi derivati dai regolamenti europei, come i fermi biologici. Manca l’applicazione del testo unico sulla sicurezza, lasciando la gestione dei rischi in mare a norme obsolete e inadatte. Manca il riconoscimento delle malattie professionali specifiche per il settore e il riconoscimento di lavoro usurante.

Sono tutti elementi di discussione con i pescatori, durante le assemblee che stiamo tenendo nelle marinerie italiane con la campagna dal titolo “Che pesci prendere”, iniziata a dicembre. Assemblee partecipate e animate che hanno messo a nudo l’esasperazione dei lavoratori, che sempre di più si sentono abbandonati e considerati di serie B.
Noi continueremo il pressing verso il governo perché a questo settore vengano riconosciuti i diritti necessari a rendere il lavoro dignitoso. Siamo convinti che il settore sia in grado di ripartire creando nuova occupazione e nuove professionalità. Per far questo c’è bisogno di risposte immediate, partendo dal superamento delle questioni legate alla legge 30, che rimane l’ultimo dei problemi alla base dello stato di agitazione ed esasperazione dei pescatori. Diversamente, siamo molto preoccupati per la tenuta occupazionale e sociale del settore.

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