Il proverbio recita ‘tutto è bene quel che finisce bene’. Nel caso del contratto del Pubblico impiego è già un bene che sia finito. Perché i lavoratori del comparto hanno aspettato il rinnovo per dieci lunghi anni. E dopo la sentenza della Corte Costituzionale, che ha giudicato illegittimo il decreto Brunetta, hanno dovuto attendere ancora. Alla fine però il contratto è arrivato. A pensar male si fa peccato ma spesso ci s’azzecca, lo sosteneva un discusso sette volte presidente del consiglio, lo ribadiamo anche questa volta. Il rinnovo del contratto arriva nell’imminenza delle elezioni del 4 marzo prossimo. Ma sicuramente sarà un caso.
Ancora a inizio febbraio i sindacati animavano l’ennesima protesta nazionale contro “uno stallo ingiustificato”. E visto come è andata a finire, avevano ragione loro. Presidi e sit-in davanti alle sedi delle Regioni, di fronte allo stesso palazzo Vidoni. Il perimetro dell’accordo risaliva al 30 novembre 2016, eppure nei mesi invernali si è assistito a un vero e proprio stillicidio: prima la firma del rinnovo del contratto per i dipendenti dei ministeri e delle agenzie, poi quella per le forze dell’ordine, infine il rinnovo per gli addetti di scuola, università e ricerca. Ma ancora mancano all’appello i rinnovi per gli enti locali e la sanità.
La ministra della Pubblica amministrazione Marianna Madia assicura che non ci sono problemi, che l’impegno del governo Gentiloni ha permesso di arrivare a questo risultato. “Dopo nove anni il contratto è arrivato, a giorni ci sarà anche la firma definitiva”, tira le somme Manuela Benevento, delegata Fp Cgil. Lei lavora al ministero dello sviluppo economico, un osservatorio ideale per capire l’evolversi delle trattative fra i lavoratori, le loro organizzazioni sindacali e il governo. E non sono tutte rose e fiori.
“Dopo tutti questi anni di blocco del contratto - spiega - le risorse economiche messe a disposizione sono poche, appena sufficienti. Dal punto di vista normativo, poi, la legge Brunetta aveva cancellato l’intero sistema contrattuale e delle relazioni sindacali”. Un provvedimento, per la cronaca, varato dal governo Berlusconi, poi approvato anche dal governo ‘tecnico’ di Mario Monti, da quello di ‘larghe intese’ di Enrico Letta e infine dall’esecutivo di Matteo Renzi, di cui il governo Gentiloni è più o meno la fotocopia. “La concertazione era stata eliminata - conferma Benevento - tutto si limitava ad una informazione spesso successiva. Il nuovo contratto reintroduce, tramite il ‘confronto’, molte materie che non erano più oggetto né di consultazione né di concertazione. In un certo senso il confronto sostituisce quella che prima si chiamava appunto concertazione. Le materie sono l’orario di lavoro, la mobilità tra sedi dell’amministrazione, il sistema di valutazione della performance, i profili professionali, le esternalizzazioni, le posizioni organizzative”.
Si è trattato insomma di ricucire una coperta che era stata strappata in più punti. E il lavoro non è finito. “Il governo deve dare ancora delle risposte a tutte le lavoratrici e i lavoratori degli enti locali, comuni, regioni e quel che resta delle province”. Di più: “Deve essere ancora sciolto il nodo del delicatissimo settore della sanità”. A posteriori Manuela Benevento tiene a precisare un dato di fatto: “In tutti questi anni noi della Funzione pubblica Cgil siamo stati costantemente mobilitati, spesso anche in solitaria, per rivendicare un diritto che alla fine è stato riconosciuto dalla Consulta. Ultimamente abbiamo recuperato l’unità sindacale (confederale, ndr), c’eravamo tutti sotto palazzo Vidoni, Cgil, Cisl e Uil, per sollecitare la ministra Madia e il suo staff a chiudere anche tutti gli altri contratti. Va da sé che uno dei nodi più complicati da sciogliere era quello della scuola”.
Per quanto riguarda il suo lavoro, Benevento ricorda che dopo la firma del contratto l’impegno non è certo finito. “Ora c’è da lavorare per il rinnovo delle rappresentanze sindacali unitarie. Dobbiamo illustrare il contratto che abbiamo firmato per le funzioni centrali, ministeri e agenzie, facendo capire che le risorse messe a disposizione dal governo sono state davvero poche”. Il ministero dello sviluppo economico ha circa 1700 funzionari a Roma, 860 nel resto di Italia, e più o meno 300 dirigenti. Grandi numeri per una struttura assai complessa, che deve mandare avanti un comparto delicatissimo, che interagisce con il cuore pulsante del paese. “Non sembri un paradosso, ma nei prossimi mesi dovremmo già iniziare le trattative per il rinnovo del nostro contratto. Sia per la parte economica che per quella normativa”. Del resto, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, il contratto appena firmato ha durata triennale, dal 2016 al 2018. I ritardi nella firma vanno imputati al governo, non certo ai lavoratori.