Giovani, italiani, discriminati - di Riccardo Chiari

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Anche se il disegno di legge sullo “ius soli” porta in sé la consueta dose di furbizia italica – i diretti interessati devono “meritarsi” la cittadinanza - non c’è dubbio sul fatto che il Parlamento debba approvare, al più presto, una norma che è dettata dal buonsenso ancor prima che dal diritto. Perché siamo di fronte al fatto, assodato, che più di un milione di ragazzi e ragazze sono cresciuti e sono diventati, sui banchi delle scuole italiane, gli amici dei nostri figli e dei nostri nipoti, condividendo insieme a loro passioni, aspirazioni, studi, sport, musica e sentimenti.

Eppure per lo Stato italiano rimangono immigrati, relegati in un purgatorio senza fine, senza diritto di voto, e con le periodiche code alle questure per il rinnovo dei permessi e per fare viaggi di studio o di svago. Questo nonostante che 814mila di loro siano nati in Italia. E altri 300mila siano arrivati da neonati o quasi, tanto da parlare un italiano che non ha nulla da invidiare a quello degli “indigeni”. Anzi non di rado si esprimono meglio di tanti presunti italiani “ciento pe’ ciento”.

Eppure questa legge attende da 13 lunghi anni di essere approvata. E da ben due anni il Parlamento ne lima anche le virgole, ritardandone l’approvazione finale. Una strategia d’azione folle, che finisce per attirare le fastidiose, e infette, mosche cocchiere delle forze politiche più o meno dichiaratamente xenofobe che allignano nel paese. Così ragazzi e ragazze ben educati sono costretti a vedere scene disgustose, anche in Parlamento, ad opera di minus habens coccolati dai demagoghi di turno, e spesso anche dai padroni del vapore televisivo. Quelli che hanno formato una percezione dell’opinione pubblica sull’immigrazione basata sulla disinformazione. Tant’è.

 

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