Bolzaneto: ancora in attesa di verità e giustizia - di Antonio Bruno

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La caserma di Bolzaneto è diventata un simbolo dei luoghi di privazione della dignità umana. Bloccato da anni ogni tentativo di arrivare a una legge contro la tortura.

Bolzaneto è un quartiere di Genova, nella periferia della Valpolcevera, devastato da scelte economiche che fino agli anni sessanta vedevano la presenza di una raffineria. Non è un luogo turistico, non ci sono molti motivi per accedervi, se non qualche grande struttura di vendita. Bolzaneto è però conosciuto in tutto il pianeta tra chi ha seguito il movimento altermondialista dell’inizio del secolo, e la violenta repressione delle manifestazioni contro il vertice del G8 nel luglio 2001 a Genova.

A Bolzaneto c’è una caserma di polizia, in quei giorni adibita a posto di detenzione temporanea, in attesa del trasferimento verso le carceri del nord Italia. Questa funzione fu stravolta dopo le prime ore del pomeriggio di venerdì 20 luglio 2001, quando si trasformò in una luogo di tortura per centinaia di manifestanti, 65 dei quali affrontarono come parte lesa il processo che portò alla condanna di alcuni poliziotti (pena massima, tre anni e due mesi a un agente che spaccò la mano a un manifestante). Pene lievi, dovute al fatto che in Italia non esiste il reato di tortura, nonostante le numerose risoluzioni provenienti dalle istituzioni europee.

Recentemente il governo ha proposto un risarcimento di 45mila euro, ammettendo le violenze da parte di pubblici ufficiali, impegnandosi a una legge sulla tortura e a intervenire sulla formazione delle forze dell’ordine, per evitare il ripetersi di casi analoghi a quelli di Bolzaneto. Ma 59 delle 65 vittime di Bolzaneto si sono rifiutate di arrivare ad un accordo transattivo, perchè vogliono arrivare ad una nuova sentenza che condanni per l’ennesima volta lo Stato italiano ad adeguarsi alle convenzioni internazionali, e ad inserire nella nostra legislazione il reato di tortura.

La decisione è significativa perché la proposta di legge sulla tortura, comunque archiviata, prevedeva un generico reato di tortura rivolto a chiunque, invece che ai pubblici ufficiali; introducendo poi labili termini di tempo per la prescrizione, in contrasto con la Corte europea di giustizia. La stessa proposta del ministro degli interni Minniti di istituire dei codici di riconoscimento di reparto, anziché quelli individuali come avviene negli altri paesi, ha il sapore di una beffa: a Bolzaneto e alla Diaz conosciamo perfettamente i nomi dei reparti di polizia coinvolti.

Bolzaneto è sinonimo di tortura: soprattutto verso manifestanti stranieri, luogo di privazione della dignità umana. Diverse testimonianze ricordano come il trasferimento nel carcere di Vercelli, ad esempio, abbia segnato il ritorno dei prigionieri alla dignità di persona umana, dopo l’eclissi del diritto e la violenza - se non programmata - certo tollerata e coperta politicamente e istituzionalmente da parte dello Stato italiano.

Sono molti anni che forze politiche bloccano ogni tentativo di arrivare a una legislazione che ci ponga alla pari degli altri paesi europei. Anche in questi giorni sono stati presentati emendamenti che stravolgono la proposta di legge in discussione, limitando il reato a una reiterazione continuata, come se “strappare” le dita di una mano una sola volta non venga configurato e perseguito come un reato odioso come quello della tortura.

Continuare l’impegno perché non cada l’oblio su questa pagina oscura è una condizione indispensabile per contrastare derive autoritarie, e gravi violazioni dei diritti umani che in questi anni si sono verificati in più casi (Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Aldo Bianzino tra gli altri). Gratitudine verso i familiari delle vittime che hanno mantenuto alta l’attenzione, e verso i non molti politici e magistrati che hanno onorato l’Italia nell’impegno per verità e giustizia per Genova e l’Italia.

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