Il filo rosso tra Resistenza e lavoro - di Tina Costa

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La testimonianza di una protagonista della Resistenza. “Noi” che manifestiamo nelle strade e nelle piazze il 25 Aprile, per festeggiare la liberazione e per difendere la democrazia, donne e uomini, anziani e giovani, ricordando che senza memoria non c’è futuro. 

Questo 25 Aprile deve essere, per una molteplicità di ragioni, un momento di festa e insieme di riflessione e di rinnovato impegno per affermare quei valori di libertà, pace, democrazia, accoglienza, solidarietà, giustizia, uguaglianza ed equità che sono stati alla base della lotta partigiana.

La Festa della Liberazione quest’anno interviene dopo il referendum del 4 dicembre, nel quale il popolo sovrano ha bocciato una riforma sbagliata, pasticciata e tesa alla menomazione di principi democratici fondamentali fissati dalla Costituzione italiana, nata dalla Resistenza, dalla lotta di liberazione contro i fascisti e i nazisti.

Dopo questo straordinario e per nulla scontato risultato, per il quale come Anpi ci siamo battuti con forza e determinazione, occorre affrontare i nodi e i problemi concreti connessi all’unico reale limite della nostra Costituzione, che risiede nel fatto - dopo 71 anni dalla sua promulgazione – di essere largamente non applicata, disattesa, tradita; a partire dall’articolo 1 con il quale i padri costituenti intesero fondare la Repubblica italiana sul lavoro.

Disse Piero Calamandrei, spiegando i contenuti e lo spirito degli articoli 1 e 3: “E’ compito della Repubblica... dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo... corrisponderà alla realtà”.

Purtroppo siamo molto lontani da tutto questo e anzi, negli ultimi decenni – a causa dell’affermazione di politiche e culture liberiste – abbiamo registrato un’enorme divaricazione tra i principi e i valori costituzionali e una realtà sempre più caratterizzata dal lavoro ridotto a merce, da una disoccupazione crescente, diseguaglianze insopportabili, aumento della povertà, venir meno di politiche volte all’inclusione, all’accoglienza, all’integrazione.

Sempre Calamandrei spiegava che la nostra Costituzione è solo in parte una realtà, ma è soprattutto “un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere”. Io aggiungerei che è un obiettivo da realizzare attraverso la partecipazione, le lotte, le mobilitazioni, l’impegno e la militanza. Da questo punto di vista, come iscritta allo Spi Cgil e come dirigente dell’Anpi, condivido e sostengo la straordinaria iniziativa della Cgil, finalizzata a ridare centralità e dignità al lavoro, attraverso la raccolta di milioni di firme per indire referendum (abrogativi di norme insopportabili con le quali si mercifica il lavoro), e per promuovere una legge di iniziativa popolare istitutiva di un nuovo e migliorativo “Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori”. Una battaglia di civiltà volta alla riaffermazione di basilari principi e valori sanciti dalla nostra Costituzione.

Sarà una battaglia lunga e difficile, perché dopo i primi positivi risultati (l’abolizione dei voucher e la reintroduzione della responsabilità solidale negli appalti) occorrerà ricorrere ad una lunga e tenace mobilitazione, affinché non venga fatto rientrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta e, soprattutto, bisognerà ricostruire una reale e concreta coscienza di classe, come base imprescindibile per lotte capaci di riconquistare e riaffermare quei diritti contenuti nella “Carta universale” proposta dalla Cgil.

Voglio sommessamente ricordare come lo Statuto dei Lavoratori, la Legge 300 del 1970, è figlio delle grandi e straordinarie lotte operaie della fine degli anni ‘60. La storia, in generale, dimostra come i diritti non sono mai stati regalati. I lavoratori li hanno sempre ottenuti e difesi con le lotte.

Sappiamo tutti che, in particolare oggi, in una società sempre più permeata da individualismi, particolarismi, guerre tra poveri che vedono spesso i penultimi contro gli ultimi, è difficile rideterminare le condizioni per un conflitto di natura generale, teso alla riaffermazione dei diritti universali del lavoro. Ma questo dobbiamo fare, non c’è altra strada.

Spesso, come ho avuto modo di dire in molte circostanze, nel corso della mia vita – legata alla militanza politica, alla lotta contro i fascisti ed i nazisti, per la libertà e la democrazia, per una società ed un mondo migliori – ho rimbrottato e continuo a rimbrottare compagne e compagni che, in ragione di difficoltà e problemi, si lasciano andare verso la rassegnazione. Ho sempre detto loro, utilizzando una celebre frase, che non è importante se si cade e come si cade, ma quello che conta è la forza di rialzarsi, come ci rialza, e per fare cosa una volta che si è in piedi.

Il movimento operaio, la sinistra, le forze progressiste sono vittime – in ragione di quanto accaduto negli ultimi decenni – di una brutta caduta collettiva, dalla quale però dobbiamo trarre i dovuti insegnamenti per rimetterci di nuovo in piedi e in marcia, tutti insieme. Magari superando quella brutta e attualmente imperante cultura dell’ “io”, per tornare a quel “noi” senza il quale non sarebbe stata scritta quella straordinaria pagina della storia italiana nota come Resistenza.

Era il “noi” che mi diede la forza ed il coraggio, fin da bambina, per compiere atti di ribellione antifascisti, che mi sorresse quando dopo l’8 settembre 1943 diventai staffetta partigiana, attraversando in bicicletta la linea gotica per rifornire i partigiani che operavano nei territori occupati dai nazisti. Un “noi” che mi ha consentito di andare avanti, rischiando la vita e vedendo compagni morire, uccisi vigliaccamente dai fascisti e dai nazisti. Un “noi” che dobbiamo recuperare e rimettere a valore, nell’oggi, per realizzare gli obiettivi contenuti nella nostra Costituzione, per lasciare un futuro migliore alle nuove generazioni.

“Noi” che dobbiamo mobilitarci, in una fase particolarmente complessa e pericolosa, dove aleggiano inediti e orribili venti guerra, dilaganti populismi e culture razziste, per la pace, per l’accoglienza, l’integrazione. “Noi” che manifestiamo nelle strade e nelle piazze il 25 aprile, per festeggiare la liberazione e per difendere la democrazia, donne e uomini, anziani e giovani, ricordando che senza memoria non c’è futuro.

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