Siamo di fronte ad uno scenario inedito che può cambiare segno al contesto politico e sociale di riferimento: la nascita di un movimento femminista transnazionale, di un movimento nato dal basso, antirazzista, antisessista, antiliberista; con un profilo “intersezionale”, capace cioè di incrociare le differenze di genere, di classe e di razza. Una pratica politica già nominata e sperimentata dalle africane nel femminismo negli Stati Uniti, dove donne nere e socialiste hanno posto, dentro la lotta al patriarcato, il tema della giustizia sociale e del razzismo.
In Italia il movimento “Non una di meno” ha portato in piazza il 26 novembre oltre 200mila persone, la stragrande maggioranza giovani donne e insieme anche molti uomini, per dire basta alla violenza maschile contro le donne. La manifestazione, che è stata imponente, forte, propositiva, ha dato a noi femministe degli anni ’70 un grande senso di felicità. Finalmente erano scese in piazza le nuove generazioni, e per molte di noi è stato chiaro che eravamo al passaggio di testimone. Un movimento nuovo, perché a differenza di noi che siamo state per necessità storica separatiste, nella manifestazione c’erano molti uomini ma la leadership è femminile.
E’ pur vero che c’è stato un precedente con il movimento “Se non ora quando” che ha promosso grandi manifestazioni di popolo, dove hanno partecipato uomini e donne, ma con una conduzione politica squisitamente femminile. “Se non ora quando” ha posto il tema della democrazia paritaria e insieme un punto di vista delle donne sulla politica a tutto campo, ma entra in crisi proprio nelle differenze politiche fra donne e forse anche per una scarsa autonomia dai partiti della sinistra.Questo nuovo movimento ha invece carattere internazionale e sembra caratterizzarsi in modo più radicale in percorsi di libertà e di autodeterminazione delle donne, ed è chiaramente antisessista, antirazzista, antifascista. Poi, fatto non secondario, pone tra i suoi obiettivi prioritari la lotta al neoliberismo e pone al centro il tema dei diritti del lavoro e della lotta alla precarietà che è anche precarietà di vita.
In questi giorni in più di 30 paesi (tra cui Germania, Argentina, Brasile, Australia, Corea del Sud, Costarica, Repubblica Ceca, Scozia, Guatemala, Honduras, Irlanda, Polonia, Russia, Svezia, Turchia, Stati Uniti) migliaia di donne stanno organizzando lo sciopero mondiale delle donne che si terrà l’8 marzo. Sciopero del lavoro produttivo e di quello di cura che le donne svolgono da sempre. “Per farla finita con il femminismo delle donne in carriera, e per costruire un femminismo del 99%, un femminismo di base e anticapitalistico, un femminismo in solidarietà con le donne lavoratrici, le loro famiglie e i loro alleati in tutto il mondo” - così recita il manifesto di “Non una di meno” delle femministe americane, con tra le firmatarie Angela Davis.
Del resto come non ricordare la marcia delle donne americane del 21 gennaio contro Trump? Hanno marciato oltre 3 milioni e 200mila persone, e sotto la guida di un piccolo gruppo di giovani donne vi hanno partecipato donne e uomini, bianchi e neri, nativi e ispanici, arabi e asiatici, cristiani, ebrei e musulmani, lgbt e moltissime organizzazioni ambientaliste e gruppi di lotta per il salario minimo.
Sulla scia di questa grande manifestazione, nella piattaforma elaborata dal movimento “Non una di meno” per l’8 marzo a Bologna, in una assemblea a cui hanno partecipato più di duemila donne, tra gli otto punti che stanno alla base dello sciopero sociale le femministe dicono di ispirarsi in modo particolare alla coalizione argentina di “Ni una menos”, in cui la violenza contro le donne assume tante facce. “Violenza domestica, violenza del mercato, del debito, dei rapporti capitalistici, delle politiche discriminatorie contro donne lesbiche, trans e queer, la violenza dello Stato nella criminalizzazione dei movimenti migratori”.
Insomma sembra profilarsi all’orizzonte una nuova politica, una politica guidata dalle donne che interloquiscono con altri movimenti quali il lavoro, l’autodeterminazione, i diritti dei migranti, e che soprattutto oggi va costruendo una vasta opposizione alle destre populiste: dalla marcia delle donne a Washington alla manifestazione in Polonia per l’autodeterminazione, dalla manifestazione di “Non una di meno” contro la violenza alle donne a Roma fino alla preparazione dell’8 marzo.