Risultato prevedibile ma certamente non nelle proporzioni, quello che ha portato alla vittoria al ballottaggio per le presidenziali in Ecuador il presidente uscente Daniel Noboa. Con un vantaggio di undici punti il rampollo di famiglia dell’oligarchia bananiera di Guayaquil ha sancito la terza sconfitta consecutiva del partito della Revolución Ciudadana, quello dell’ex presidente Rafael Correa, e della sua candidata Luisa Gonzales. Eppure al primo turno il distacco tra i due era minimo, poche decine di migliaia di voti, in quello che gli esperti definiscono un “empate tecnico”.

Stravolgendo i sondaggi alla vigilia del ballottaggio, Noboa si è imposto con circa un milione e 100mila voti in più rispetto all’avversaria che immediatamente lanciava accuse di frode elettorale, prontamente smentita dai suoi stessi compagni di partito. Il che lascia a intendere un neanche tanto latente dibattito interno, che ora, con questa bruciante sconfitta, si farà ancor più evidente. Del resto Luisa Gonzales era stata imposta dall’ex presidente Correa dal suo esilio in Belgio, nonostante avesse già perso le elezioni precedenti contro lo stesso Noboa, quando l’allora presidente Guillermo Lasso, per evitare un impeachment per corruzione, sciolse d’autorità l’Assemblea Nazionale e convocò elezioni anticipate.

Allora Daniel Noboa era una figura di secondo piano, in una campagna elettorale giocata di rimessa, da outsider, in uno scenario dominato dalla dilagante violenza da parte dei narcos che da tempo si erano insediati soprattutto nelle zone costiere del paese. Fu l’omicidio, in piena campagna elettorale, del candidato alle presidenziali Ferdinando Villavicencio, compiuto da alcuni sicari dei narcos, a cambiare le sorti delle elezioni. Al ballottaggio andarono Daniel Noboa, visto come il “nuovo” che avanza e si sottrae alla contesa elettorale, fatta di ripicche e reciproche accuse, e Luisa Gonzales, che non riuscì a sfondare il tetto storico del 30%. Così Noboa si ritrovò alla guida di un paese stordito dalla violenza dilagante, spossato dalla persistente crisi economica e sociale.

Eppure, proprio in quelle elezioni, in parallelo vinse un altro Ecuador che chiedeva di non sostenere l’espansione delle attività minerarie nel Chocò Andino e l’estrazione di petrolio dallo Yasunì. Si materializzò un altro paese, formato da movimenti urbani, ecologisti, transfemministi e movimenti popolari, sociali ed indigeni come possibile contro-potere all’affermazione della destra neoliberale. Il contrasto all’estrattivismo avrebbe potuto essere un collante inedito, vista la divergenza annosa tra correismo e movimenti indigeni e sociali.

Invece le voci di resistenza della Conaie (Federazione dei popoli indigeni del paese) e dei movimenti indigeni ed ecologisti sulla repressione delle comunità in resistenza e sull’espansione delle concessioni minerarie nella regione andina, in primis a imprese cinesi e canadesi, non ebbero risonanza nelle posizioni pubbliche della Revolución Ciudadana. Solo in extremis, nel corso della campagna elettorale del ballottaggio, la candidata Gonzales sottoscrisse una carta di intenti preconfezionata da un ampio spettro di movimenti sociali e di sinistra, nella quale si chiedeva anche un impegno sul tema estrattivismo, e soprattutto una amnistia sociale per tutti i condannati dei movimenti, dal periodo di presidenza di Correa in poi.

Noboa, questa volta, è riuscito a cavalcare l’onda della paura e della richiesta diffusa di sicurezza e protezione dalla violenza. Il pretesto per accelerare su questo fronte è stato l’assalto in diretta da parte di un gruppo di giovani “pistoleros” ad una stazione televisiva ai primi di gennaio dello scorso anno. Poche ore dopo Noboa dichiarò lo stato di eccezione e lo stato di conflitto armato interno, schierando l’esercito per le piazze e le strade del paese, sospendendo diritti civili e imponendo il coprifuoco, prima in tutto il paese poi nelle regioni più colpite dalla violenza. Lanciò un piano per la sicurezza, il Piano Fenix, che non sortì alcun effetto di rilievo (oggi il paese è tra i più violenti al mondo, con un tasso di 1,1 omicidi all’ora) e ottenne aiuti militari da parte degli Stati Uniti, in un crescendo di mosse ad effetto che, a ridosso del ballottaggio, lo hanno portato a dichiarare nuovamente lo stato di eccezione, e a riaprire la possibilità di presenza di forze armate statunitensi in due basi nel paese, alle Galapagos ed a Manta, base chiusa a suo tempo da Rafael Correa.

A fronte del fallimento delle sue politiche di sicurezza, ha lanciato un referendum popolare proprio sui temi della sicurezza e su altre questioni relative in particolare agli investimenti diretti esteri, stravincendo sui primi, e perdendo quello sull’arbitrato internazionale sulle imprese multinazionali. Nonostante gli annunci ad effetto, la sua popolarità cadeva esponenzialmente anche di fronte alla manifesta incapacità di gestire la crisi energetica che ha messo in ginocchio l’intero paese per mesi e mesi. E poi la rottura delle relazioni diplomatiche con il Messico, principale partner commerciale del paese, a seguito dell’assalto dell’ambasciata messicana da parte di esercito e polizia per catturare l’ex vicepresidente correista Jorge Glas accusato di corruzione, strategia usata ad arte, quella del “lawfare”, per regolamenti di conti tra destre e correismo.

La carta della sicurezza, però, ha avuto facile presa sulla popolazione, assieme alla geniale trovata di diffondere in tutto il paese sagome di cartone con la sua persona in grandezza naturale, che spuntavano ovunque dalle finestre e dalle vetrine. Il marketing politico, l’uso dei social media, e dichiarazioni a effetto hanno fatto il resto. Così Daniel Noboa è entrato a far parte della vita quotidiana di ogni ecuadoriano ed ecuadoriana, conquistato con la promessa di un Ecuador del futuro, scisso tra le ricadute nefaste del malgoverno del presidente e le sue promesse di un futuro migliore. Elementi questi da tenere a mente per cercare di comprendere il suo successo anche tra le classi diseredate e meno abbienti, che lo vedono come un modello di rifermento, il giovane di successo che ha bisogno di tempo e sostegno per lavorare per il bene del paese. A questo si aggiunge il fatto che, violando la Costituzione, Noboa non ha ceduto il suo incarico alla sua vice per poter fare campagna elettorale da candidato, avvalendosi anche di fondi pubblici per la sua campagna, in un paese dove la maggior parte dei media sono a lui allineati.

Per questo gli analisti locali più che di frode elettorale (anche se persistono dubbi sul regolare svolgimento delle elezioni) parlano di una sorta di “piano inclinato”, una posizione di vantaggio goduta grazie all’avallo delle istituzioni che avrebbero dovuto vigilare sul rispetto della legge e della Costituzione.

Dall’altra parte il messaggio di Luisa Gonzales è apparso troppo ancorato al passato, seppure sia riuscita al primo turno a rompere il tetto del 30%, arrivando ad un inatteso 44% dell’elettorato, accompagnato dal buon risultato del candidato di Pachakutk, e presidente della Conaei, Leonidas Iza che ha ottenuto il 5%, circa mezzo milione di voti che avrebbero potuto fare la differenza al ballottaggio. Invece, paradossalmente, al secondo turno Luisa Gonzales ha perso addirittura voti rispetto al primo. Lo sperato, e mai concretizzato, travaso massiccio di voti da Pachakutik a Gonzales, gli appelli di movimenti sociali e l’endorsement di movimenti ecologisti quali Yasunidos, e quello esplicito di Pachakutuk, non sono stati garanzia di successo.

Molti gli errori fatti da Gonzales nel corso della campagna elettorale per il ballottaggio. Il primo senz’altro quello di non dare l’impressione di un rinnovamento del correismo, in una base sociale, quella indigena e dei movimenti sociali ed ecologisti, ancora memore della repressione subita in passato. Il secondo, quello di essersi alienata il sostegno dei movimenti femministi e Lgbtq+ con la firma, lei fervente evangelica, assieme a Noboa, di un documento contro l’aborto, la teoria gender e i diritti Lgbtq+, promosso da gruppi di estrema destra religiosa, ed evangelica, forse nella speranza di poter conquistare l’elettorato femminile indigeno. Il terzo, quello di rincorrere Noboa sul tema della sicurezza. Al presidente-candidato che ha invitato il fondatore della Blackwater Prince, lei ha risposto proponendo come ministro degli interni Ian Topic, un mercenario di destra già candidato alle presidenziali. In molti, quindi, hanno deciso di votare nullo o per Noboa.

Ora il presidente eletto cercherà in ogni maniera di archiviare per sempre il correismo, provando a convocare d’urgenza una Assemblea Costituente per riscrivere la Costituzione di Montecristi, cornice della “Revoluciòn Ciudadana”, che con le sue norme rappresenta un ostacolo per le politiche liberticide e liberiste del presidente, e iniziando una caccia alle streghe contro i correisti, in primis i sindaci di Quito e Guayaquil.

E’ proprio sulla difesa della Costituzione che potrà compattarsi un fronte largo di opposizione a livello nazionale e sui territori, per provare a creare le basi per una riscossa necessaria ed improrogabile tra quattro anni, quando il paese verrà chiamato di nuovo alle urne.