Lo scorso 27 febbraio, circa l’80 per cento dei magistrati ha fatto ricorso al nobile strumento dello sciopero, per porre all’attenzione dell’opinione pubblica quello che è messo a rischio dal progetto di riforma costituzionale del governo: il concetto di indipendenza della magistratura, consacrato dalla Costituzione come perno dello Stato di diritto.

Prima di questo alto momento di mobilitazione, i magistrati avevano protestato in varie forme durante le inaugurazioni dell’anno giudiziario in tutti i distretti di Corte d’appello: a dimostrazione che questa riforma non è voluta dall’intero ordine giudiziario.

Le ragioni di questa opposizione non sono di corpo o di casta: stanno nel dovere di difendere l’architettura costituzionale, e i meccanismi repubblicani di controllo e di garanzia contro il prevalere di un potere sull’altro.

La riforma in approvazione non si limita a separare le carriere tra pubblici ministeri e giudici (si potrebbe fare con legge ordinaria), ma sdoppia l’organo di autogoverno, nega ai magistrati il diritto di eleggerne i componenti, e introduce un nuovo giudice disciplinare, l’Alta Corte, per valutare i comportamenti di giudici e pubblici ministeri, ora sottoposti al Consiglio Superiore della Magistratura.

Al di là del profilo tecnico, ostico per i “non addetti”, la riforma è molto di più di quel che appare: stravolge la collocazione del potere giudiziario nell’ordine costituzionale, isolandone le componenti e facendone così più facile preda delle ambizioni di controllo dell’esecutivo. L’obiettivo è perseguito con l’introduzione in Costituzione di un insieme contraddittorio di previsioni, affiancato da una clamorosa batteria di slogan, che non riescono a nascondere la totale irrazionalità delle innovazioni (e la totale inutilità per il miglioramento del servizio).

La separazione delle carriere non si giustifica per la necessità di evitare l’appiattimento dei giudici sulle richieste dei pubblici ministeri: i numeri delle assoluzioni dimostrano che questo effetto non esiste. Eccessiva discrezionalità del p.m., non sufficientemente “imbrigliato” dal giudice-collega? Spetta alla legge definire meglio l’ambito di azione dell’accusa, come in parte fatto dalla riforma Cartabia, ma il Parlamento ha sempre evitato di fissare i criteri con cui selezionare le priorità dell’intervento penale. Un migliore controllo sulla professionalità dei pubblici ministeri? Saranno solo i p.m. a valutarne le capacità, senza alcun apporto dei giudici (e viceversa), perché ognuno dei due ordini avrà un proprio Consiglio Superiore. Non ci sarà alcun vantaggio, soprattutto per l’imputato, da un corpo separato e autogovernato di requirenti, che procede per direttrici sganciate dalla complementarietà con la magistratura giudicante. Inevitabilmente, presto sarà la politica ad assumere su di sé il compito di porre un freno.

I rappresentanti dei magistrati negli organi di autogoverno verranno sorteggiati: nessuno dei moderni Stati costituzionali nega ai magistrati di scegliere da chi farsi rappresentare. In passato questa facoltà non è stata esercitata bene? Se il rimedio contro l’elettorato che sbaglia è quello di punirlo e di rieducarlo attraverso la privazione del suo potere di scelta, sarà facile poi farne una soluzione buona per tutte le necessità.

Il modello costituzionale italiano ha una sua nobile, e drammatica, storia, che ne giustifica l’originalità. E’ falso che esso soccomba nel confronto con le esperienze europee, perché ad esso si è ispirata l’Ue con l’istituzione della Procura europea. Verrà snaturato da una riforma strumentale a tutt’altri scopi, che emergono chiaramente dalle furiose polemiche agitate contro le iniziative giudiziarie giudicate “contrarie” agli interessi nazionali, in realtà quelli della maggioranza che ci governa. Si pensi agli insulti rivolti a questo o quel magistrato, p.m. o giudice che sia, perché accusato di avere adottato una decisione dipinta come “sbagliata” o addirittura dettata da pregiudizio e da volontà di opporsi al disegno politico dell’esecutivo.

Quanti magistrati, abituati a lavorare in silenzio, sono stati trascinati alla ribalta malevola dei media, vedendo le loro persone aggredite con toni violenti con l’accusa di essere privi del primo requisito del giudice, l’imparzialità. Pochi giorni fa, le stesse Sezioni Unite della Cassazione, supremo organo giudiziario chiamato a risolvere i dubbi interpretativi più complicati, sono state trascinate dai vertici del governo in una polemica infamante e priva di qualsiasi spessore giuridico, per la decisione sul risarcimento ad uno dei migranti bloccati sulla nave Diciotti dopo il salvataggio in mare.

E’ a queste polemiche, e al dibattito che si agita intorno ad esse, che bisogna pensare quando ci si interroga su ragioni e obiettivi della riforma. Ragioni che stanno nell’intenzione di punire e isolare chi non si allinea ai fini di governo, non di aumentare l’efficienza del servizio.

Per questo i magistrati scioperano, protestano e protesteranno: perché questo stravolgimento non avvenga, o non in loro nome. Che i cittadini sappiano quale è la vera posta in gioco.