
La campagna referendaria entra nel vivo. Si stanno costituendo i comitati e l’impegno per raggiungere il quorum diviene priorità assoluta. Si voterà l’8 e 9 giugno. E’ importante cogliere ogni occasione per parlare dei quesiti, motivando le persone alla partecipazione.
Di fronte alle ipocrisie della destra, che dice di voler migliorare le condizioni di lavoro senza fare nulla, le modifiche ad una normativa, non nuova e non scritta da questa destra, divengono uno strumento importante per avviare una stagione di cambiamento.
Infatti è anche con queste modifiche che combatteremo la precarietà, miglioreremo il sistema di difesa contro licenziamenti illegittimi, e rafforzeremo la tutela della salute e sicurezza.
Anche il referendum sulla cittadinanza, oltre a definire una norma civile e moderna, è uno strumento funzionale a combattere lo sfruttamento.
Sui referendum è utile ragionare sia in termini generali che con una chiave di lettura pratica, che li colleghi alle condizioni lavorative quotidiane. Proviamo quindi ad integrare la già ampia gamma di argomentazioni offerte.
Sui licenziamenti, due sono le considerazioni aggiuntive. La prima è che il sistema delle imprese si sta organizzando sempre più con reti di imprese di piccole dimensioni appartenenti al medesimo gruppo: centinaia di dipendenti di uno stesso grande gruppo suddivisi in una miriade di piccole aziende. Accade nel commercio (spesso un’insegna commerciale nasconde diverse partite Iva e punti vendita frammentati in diverse denominazioni sociali), nel sistema degli appalti di servizio, nel mondo delle imprese ad alto valore aggiunto e professionale, come quelle che producono servizi informatici.
Le ragioni storiche della differenziazione tra aziende di grandi e piccole dimensioni sono venute meno, e parificare il sistema di tutela contro i licenziamenti nelle piccole imprese e in quelle grandi è determinante per una massa di lavoratrici e lavoratori che, altrimenti, sono esposti alle pressioni di aziende solo apparentemente di piccole dimensioni.
La seconda è che di fronte alla suddivisione del sistema di tutele determinato dal Jobs Act, la mobilità di lavoratrici e lavoratori fra le aziende diventa un problema e non una risorsa di crescita professionale. Infatti cambiare azienda, perdendo la protezione contro il licenziamento illegittimo, che esclude la reintegra per gli assunti dopo il marzo del 2015, espone la persona ad un rischio enorme.
A ciò possiamo aggiungere che nelle procedure di licenziamento collettivo la discussione sugli incentivi, spesso, si basa sul rischio causa: cosa che rende evidente quanto la quantificazione per legge degli incentivi indebolisca l’azione negoziale di tutela di queste lavoratrici e lavoratori.
Sui contratti a termine, anche tutta la normativa contrattuale, spesso orientata dal quadro normativo, potrebbe beneficiare della reintroduzione delle causali. Ricordiamo sempre la difficoltà al contrasto alla precarietà nella contrattazione, nazionale o aziendale: senza un diverso quadro normativo sarà quasi impossibile sostenere il cambiamento e offrire prospettive lavorative certe a chi si affaccia nel mondo del lavoro (o si riaffaccia dopo la perdita traumatica del proprio impiego a seguito di una procedura di licenziamento collettivo).
Sulla responsabilità della committenza nel rispetto delle norme di salute e sicurezza da parte della società appaltata, bisogna riflettere su come il sistema degli appalti sia funzionale anche a determinare la deresponsabilizzazione delle grandi imprese, che scaricano su realtà di piccolissime dimensioni la tutela della vita delle persone. Se integriamo questa riflessione al tema dei licenziamenti, notiamo quanto la combinazione sia fortissima: un lavoratore impiegato in un appalto di piccole dimensioni, senza tutele contro il rischio di licenziamento, difficilmente pretenderà il rispetto dei suoi diritti, compreso quello della tutela della salute.
Il referendum sulla cittadinanza potrà avere un effetto anche sulle condizioni di lavoro generali: la precarietà sociale è una delle basi per lo sfruttamento lavorativo estremo. Un lavoratore senza cittadinanza è esposto al potere di datori di lavoro senza scrupoli, che sanno sfruttarne la debolezza. Sottopagati, senza diritti né tutele, non sono loro a determinare la spirale negativa delle condizioni economiche del lavoro. La retorica della destra, che contrappone lavoratori italiani e stranieri, rivela la sua meschina strumentalità: l’odio tra poveri che distrugge l’idea di classe a favore dell’idea di diversificazione dei diritti, funzionale ai profitti del capitale.
Approfondire questi temi è faticoso, ma costringe tutti a confrontarsi con un modello sociale ed economico sempre più complesso. Anche questo deve essere un obiettivo della campagna referendaria: sollecitare la consapevolezza nella platea di chi rappresentiamo e attivare una pressione forte sulla politica, per cambiare il corso degli eventi.
Se il voto è la nostra rivolta, la vera rivolta sta in un cambiamento che combatta, sempre, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.