Nel tornare a vedere i magistrati italiani in sciopero e con la Costituzione in mano, la memoria torna ai primi anni del secolo, alla manifestazione che fece conoscere il Laboratorio per la Democrazia di Paul Ginsborg. Quel giorno a Firenze, sotto la pioggia, fra i 15mila manifestanti c’erano due fratelli livornesi che mostravano una maxi locandina del “Vernacoliere”, imperdibile mensile di satira. Eccola la locandina: “Fucilato Borrelli, condannato per attentato alla sicurezza dell’andazzo”. Perché l’allora procuratore capo di Milano, che non nascondeva le sue idee conservatrici, era però un tenace magistrato che della Carta faceva la sua bussola, e che con l’inchiesta “Mani pulite” aveva scoperchiato anni prima un vaso di Pandora che avrebbe portato nel 1994 alla “discesa in campo”, a scopo difensivo e non solo, di Silvio Berlusconi.

Trent’anni dopo, il governo Meloni – espressione delle stesse forze (allora Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega Nord, oggi Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega) che all’epoca ingaggiarono uno scontro al calor bianco contro la magistratura, continua imperterrito nella caccia alle cosiddette “toghe rosse”, promuovendo una deforma costituzionale della magistratura che era il sogno del Cavaliere e, prima di lui, della Loggia P2 di Licio Gelli.

Passano i decenni, ma l’andazzo resta lo stesso: guai a toccare i “padroni del vapore”, magari investigando sulle loro possibili malefatte. E non è un caso che a rivendicare la deforma della giustizia, all’interno della maggioranza che sostiene l’esecutivo, sia la Forza Italia inventata dallo stesso Berlusconi. Mentre i meloniani di Fratelli d’Italia spingono per il presidenzialismo (detto “premierato”) a scapito della democrazia rappresentativa cara anch’essa alla Costituzione, e i salviniani della Lega per la secessione dei ricchi altresì definita “autonomia differenziata”, ancora una volta in contrasto con i principi e i valori della Carta fondamentale della Repubblica.